Il caso Naval’nyj

L’avvelenamento di Alexej Naval’nyj sembra gettare nuove ombre sul Governo di Vladimir Putin ma risulta difficile riconoscere effettive responsabilità.

Lo scorso 20 agosto un aereo passeggeri della compagnia S7 in volo da Tomsk a Mosca dovette effettuare un atterraggio di emergenza nell’aeroporto della città di Omsk, in Siberia. A bordo vi era Alexej Anatol’evič Naval’nyj, prominente personalità politica russa, tra i più accesi critici del Presidente Vladimir Vladimirovič Putin, colpito da un grave malore. Ricoverato d’urgenza nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale cittadino numero 1, Naval’nyj cadeva in coma. I primi esami avrebbero rivelato la presenza di un agente nervino nel sangue del paziente, rivelazione che confermava l’ipotesi che il malore e lo stato di coma fossero stati causati da un avvelenamento.

L’Europa fece sentire la propria voce – attraverso le dichiarazioni di Emmanuel Macron e di Angela Merkel – condannando l’accaduto e offrendo di prendersi cura del paziente in una struttura berlinese, in tutta probabilità meglio equipaggiata e meglio funzionante di un ospedale siberiano. I medici curanti non vollero tuttavia saperne e si rifiutarono di permettere la partenza di Naval’nyj fino a quando le sue condizioni non si fossero stabilizzate. Secondo i più maliziosi il trasferimento sanitario fu negato su pressioni del Governo moscovita, preoccupato del fatto che i medici stranieri potessero trovare tracce incriminanti nel sangue della vittima. Si fecero così trascorrere circa due giorni, per permettere che il corpo umano eliminasse ogni segno dell’agente avvelenante. Agente avvelenante che fu prontamente individuato dai medici dell’ospedale universitario della Charité di Berlino.

Ed ecco tornare Novičok. Novičok, “il nuovo venuto”, la famiglia di agenti nervini prodotti nell’Unione Sovietica negli anni della tensione di quella che fu definita “seconda Guerra Fredda”. Non che l’Unione Sovietica sia da condannare per avere sviluppato un programma di produzione di armi chimiche: occorre infatti ricordare che gli Stati Uniti d’America – per citare un esempio illustre – non solo ne produssero grandi quantità ma ne fecero anche un largo uso. Allo stesso modo è bene tenere a mente che, sebbene l’utilizzo delle armi chimiche in guerra sia stato in larga misura messo al bando grazie alla Convenzione sulle armi chimiche del 1993, l’uso delle stesse nelle operazioni di polizia volte a stabilire l’ordine pubblico e a controllare la folla resta assolutamente legale. Ed è esattamente così, poiché i gas lacrimogeni e le bombolette al peperoncino rientrano nella categoria degli agenti chimici “irritanti”, il ricorso ai quali è proibito dal diritto internazionale dei conflitti armati.

Novičok è l’agente nervino famoso per essere stato l’arma preferita da fantomatici agenti russi per commettere due omicidi mirati in anni recenti, entrambi miseramente falliti e dai risultati tendenzialmente negativi per l’immagine del Governo russo, a seconda della prospettiva dalla quale si può guardare la questione. Uno è il già citato – e tutto fuorché chiuso – caso di Alexei Naval’nyj, il secondo è l’ancora più celebre caso Skripal’. Skripal’ nella primavera del 2018 occupava le prime pagine di tutti i giornali del mondo e si assisteva all’aumentare della tensione diplomatica tra la Mosca e Londra. Tuttavia, i due principali obiettivi del tentativo di assassinio – Sergej Skripal’ e la figlia Yuliya – sopravvissero, anche se il mondo parve non accorgersene.

Lungi da me tentare di dare un’opinione o di additare presunti responsabili per il tentato assassinio compiuto nei confronti del Signor Naval’nij, il quale ha recentemente pubblicato un lungo video sostenendo la colpevolezza di singoli agenti del servizio di sicurezza federale russo. È una questione spinosa e piena di zone d’ombra ma è in ogni caso legittimo interrogarsi: qualora ne fosse confermata la responsabilità, con quanta superficialità e maldestrezza gli agenti dell’FSB (moderno erede del ben più noto KGB) svolgono il proprio mestiere, all’estero o in patria?

A ogni modo Navaln’ij non ha intenzione di abbandonare la sua missione e non appena si sarà completamente ristabilito tornerà in Russia, continuando la propria campagna di opposizione al Governo del Presidente Putin. Sempre che non sia fermato, una volta per tutte.

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