Bisogna ammettere che negli ultimi tempi gli statunitensi non hanno dato quella che definirei “un’ottima immagine di sé”, ma è mia convinzione che durante questo 2020 il fondo del barile sia stato più volte toccato. Badate bene, qui non si discorrerà sulla gestione della pandemia che affligge il globo dall’inizio di quest’anno, bensì di quella che mi azzarderei a definire un’altra malattia ben più grave, un malanno dell’anima che è arrivato a ghermire i lidi del Vecchio Continente, ma dove, fortunatamente, non ha attecchito più di tanto. Il lettore mi concederà, a preludio di quest’articolo, un mio personale neologismo per definire questa follia collettiva che io indicherei con il significativo nome di istoriofobia.
Ebbene sì. Parliamo di una fobia e quindi di un odio verso la storia. Paura, soprattutto, di una storia che, così come è naturale che sia, è lontana dalla nostra epoca non solo nel tempo, ma anche nella mentalità e, diciamolo apertamente, è proprio questo ciò che spaventa chi con essa non riesce ad avere un rapporto ragionato. Quest’anno l’uomo comune si è improvvisato in tanti mestieri diversi (virologo, politologo statunitense, esperto mediorientale etc.), ma le brutture più aberranti si sono viste da parte di tutti quegli pseudostorici che hanno invaso la rete allorquando, in tutto il mondo, è partita la terza “crociata iconoclasta”.
Statue fino a quel momento rimaste fondamentalmente ignorate sui loro piedistalli sono, dapprima, state guardate con occhio torvo da masse di manifestanti intente a mettere a ferro e fuoco le città statunitensi e poi, con una dialettica oltremodo imbarazzante, si sono messi a processo gli uomini da esse rappresentati secondo la contemporanea logica del politicamente corretto. Le folle, giudici supremi della cosa pubblica, si sono così arrabattate per distruggere tutte quelle effigi capitategli sottomano durante i tumulti, al ritmo dei soliti slogan dal contenuto facilmente pronosticabile. Non importa se è oltremodo ovvio e palese che giudicare una persona vissuta in un’altra epoca secondo i modelli etici oggi vigenti è una cosa tanto inutile quanto dannosa. La nuova rotta ormai è questa: l’uomo non deve confrontarsi con il suo passato, bello o brutto che sia, ma, ignorando tutto ciò che egli è stato o al massimo vergognandosene, puntare al futuro come un cavallo al galoppo con i paraocchi.
L’esempio più eclatante della contraddittorietà e ignoranza che si cela dietro queste azioni si può riscontrare, a titolo esemplificativo ed esaustivo, negli eventi accaduti a Madison, capitale dello stato del Wisconsin, il 23 giugno di quest’anno. Un gruppo di facinorosi, infatti, ha ben pensato di decapitare e gettare nel lago Monona, uno dei due specchi d’acqua che fa da cornice a questa ridente cittadina del Midwest, la statua del Colonnello Hans Christian Heg. Chi era costui? Un pericoloso generale sudista? Un politico del XVIII secolo entrato in possesso di alcuni schiavi? A scavare a fondo nella vita di quest’uomo non si riscontra altra colpa che essere stato un bianco. Hans Christian Heg, di origini norvegesi, nativo del Wisconsin fu un abolizionista convinto e un colonnello dell’esercito nordista, comandante dello Scandinavian Regiment durante la guerra di Secessione Americana. La morte in battaglia per ciò che egli riteneva fosse la cosa più giusta non ha dunque fermato la mano di costoro i quali, in un secondo momento, hanno provato a giustificare la loro dimostrata ignoranza con indegne scuse che qui non riporteremo per rispetto verso l’intelletto dei nostri lettori.
La nota positiva a margine di queste nefaste vicende è che, almeno qui in Europa, una certa parte (ma non direi la maggioranza) dell’opinione pubblica ha avuto il buonsenso di condannare questi che altro non sono stati se non episodi di teppismo e di sfogo popolare durante un anno che ha messo a dura prova, per la prima volta da molti decenni, la popolazione di tutto il mondo. Non so cosa accadrà in futuro, giacché all’orizzonte sembra prospettarsi più un tifone che una limpida giornata, ma almeno per ora posso dire che qui nel Vecchio Mondo qualcuno è ancora in grado di non prendersela con Giulio Cesare per non essersi schierato pubblicamente con Black Lives Matter.