BOCCONI DI STORIA: Amedeo Guillet, il Comandante Diavolo

Amedeo Guillet nasceva a Piacenza nel 1909, entrava nell’Accademia militare di Modena e ne usciva come sottotenente dei Cavalleggeri di Monferrato (1928-1931). Le sue grandi doti da cavaliere lo portarono a superare le selezioni per partecipare alle Olimpiadi di Berlino (1936), alle quali non prese parte per arruolarsi come volontario nella guerra d’Etiopia del 1935. Veniva assegnato al Regio Corpo delle Truppe coloniali in Libia, presso un reparto Spahis (Corpo di Cavalleria) e nell’agosto del 1937 partecipava alla guerra civile spagnola. Nel 1939 Guillet tornava in Eritrea e veniva nominato Comandante del Gruppo Bande Amhara, unità forte di 1700 uomini etiopi, eritrei e yemeniti. Il suo compito era quello di sopprimere le rivolte degli uomini ancora fedeli al negus Hailé Selassié (imperatore d’Etiopia). Fu dopo questi scontri che i suoi soldati iniziarono a chiamarlo Cummander As Shaitan (Comandante Diavolo), perché sembrava godere di una sorta d’immortalità.

In seguito alla caduta di Asmara il 1° aprile del 1941, Guillet iniziava una guerriglia personale contro gli inglesi spogliandosi dell’uniforme e radunando un centinaio di suoi fedelissimi ex-soldati indigeni. I britannici arrivarono perfino a fissare una taglia di mille sterline d’oro sulla testa del Comandante, ma Guillet non fu mai tradito neanche dai capi tribù precedentemente in guerra con l’Italia. Per otto mesi assaltò e depredò depositi britannici, fece saltare ponti e gallerie rendendo incerte le vie di comunicazione. Oltre al danno la beffa: di tanto in tanto Guillet andava ad autodenunciarsi agli inglesi per ottenere cibo e denaro non venendo mai riconosciuto, infatti vestiva con futa e turbante, aveva imparato perfettamente l’arabo e si faceva chiamare Ahmed Abdallah Al Redai, impersonando un povero mercante yemenita. In più chiese proprio ai britannici di potersi imbarcare per “tornare” in Yemen, ottenendo il permesso. Grazie alle sue doti ippiche diveniva palafreniere presso il sovrano yemenita, l’Imam Yahiah, che gli fu grande amico nominandolo anche precettore dei figli.

Nel giugno del 1943 riusciva a imbarcarsi su una nave della Croce Rossa Italiana e giungeva finalmente a Roma il 3 settembre 1943. Per lui la guerra finiva in quel momento: dopo l’armistizio dell’8 settembre veniva assegnato al Servizio Informazioni Militari. Dal 25 aprile 1945 fu impiegato come agente segreto, riuscendo a recuperare la corona imperiale del negus d’Etiopia e restituendola all’imperatore Hailé Selassié come primo segnale di rappacificazione tra Etiopia e Italia. Fedele alla Corona dei Savoia, dopo il referendum del 1946 rassegnava le sue dimissioni dall’Esercito Italiano.

Nel 1947 si laureava in Scienze Politiche e vinceva il concorso per la carriera diplomatica. Nel 1950 veniva destinato, come segretario di legazione (primo grado della carriera diplomatica in Italia), all’ambasciata del Cairo, mentre a partire dal 1954 fu nominato Incaricato d’Affari nello Yemen, dove il figlio del vecchio Imam lo accoglieva affettuosamente; nel 1962 fu Ambasciatore ad Amman in Giordania. Dal 1967 fu Ambasciatore in Marocco e durante un ricevimento salvò alcuni diplomatici da una sparatoria causata da un tentativo di colpo di Stato; tra di essi c’era anche l’Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, la quale gli concesse la Gran Croce con stelle e strisce dell’Ordine al Merito. Concludeva la sua carriera diplomatica nel 1975 non prima di essere stato inviato in India ed essere entrato nel ristretto entourage del Primo Ministro Indira Gandhi. Il 2 novembre 2000, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferiva ad Amedeo la Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia, massima onorificenza militare italiana. Il Comandante Diavolo si spegneva a Roma il 16 giugno 2010.

La vita di Amedeo Guillet è molto affascinante: fu un soldato, un guerrigliero, una spia, un diplomatico e, non dimentichiamolo, un quasi-atleta olimpionico. Nel mio piccolo spero d’invogliare le persone a riscoprire la bellezza della Storia e, in questo caso, anche rispolverare un po’ di orgoglio in noi, popolo italiano, spesso i più feroci critici del nostro Paese… «ma per fortuna o purtroppo, per fortuna o purtroppo, per fortuna, per fortuna siamo italiani».

Per eventuali vostre curiosità, consigliamo la visione del video «Il Comandante Diavolo», che ne racconta la storia più in dettaglio.

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