Ecce crisi! Dal pulpito del giornalismo e dai guru del mondo della politica si percepiscono con chiarezza reazioni di sorpresa in seguito alla crisi di governo formalizzata il 14 gennaio dalle dimissioni del Ministro per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, e del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova. Risposta di sgomento che chi scrive in questo momento fa fatica a comprendere. Davvero siamo stupiti della crisi di governo? Quando tutto il cosiddetto “sistema Paese” è in crisi e la nave sta affondando non sarebbe forse paradossale assistere ad un timoniere tranquillo e spensierato?
Per quanto riguarda l’aspetto politico istituzionale la crisi si era già palesata, era viva e lottava insieme a noi da tempo, come anche qui si ricordava verso la fine dell’anno scorso (votazione sul Mes). Per non dimenticare tutti gli altri aggettivi che oggi accompagnano il sostantivo “crisi” (sociale, economico-finanziaria, sanitaria…), come mostra il rapporto sull’andamento dell’economia nel corso dell’anno 2020 rispetto al precedente (Il Sole 24ore).
Lunedì 18 e martedì 19 gennaio, a fronte delle dimissioni dei Ministri di “Italia Viva” di cui si è ricordato sopra, il governo Conte ha chiesto e incassato la fiducia presso i due rami del Parlamento, prima alla Camera dei Deputati e poi al Senato della Repubblica. L’equilibrio della formazione di questa nuova maggioranza si gioca a Palazzo Madama, dove il pallottoliere segna: 156 Sì, 16 astenuti e 140 No. Dunque una maggioranza relativa, sufficiente ad andare avanti per via dell’astensione del partito che ha lasciato la maggioranza. In soccorso di questa arrivano gli storici responsabili, ora diventati “costruttori”. Nel comportamento di questi giorni scopriamo una non comune coerenza nell’incoerenza, che contraddistingue forse più di altre questa legislatura.
Primo giugno 2018: a seguito delle elezioni politiche nazionali (04/03), giura il primo governo Conte, composto dalla maggioranza post-elettorale tra Lega, che abbandona la coalizione con cui si è presentata alle elezioni (centrodestra) e il M5s, primo partito indiscusso pronto a realizzare un “contratto di governo” con chiunque purché senza le “due facce della stessa medaglia”, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Dopo un primo dialogo con il PD, stroncato sul nascere dal “No” del senatore fiorentino, è il timido via libera della coalizione di centrodestra a far nascere il governo d’identità sovranista e “neo-populista”, vocazione fortemente rivendicata dallo stesso capo di Governo. Cinque settembre 2019: passa poco più di un anno, e la Lega, o meglio Matteo Salvini, confortato dal segretario del PD Nicola Zingaretti, è pronto a incassare il crescente consenso alle urne staccando la spina all’esecutivo. Se non fosse per il suo omonimo senatore di Scandicci, che apre la porta chiusa un anno prima. Nuovo governo, nuovo orientamento (così pare) verso un generico europeismo e un’annacquato socialismo. A non cambiare è chi il governo lo presiede, simbolo della fine delle ideologie in nome di boh, Giuseppe Conte. Figura che ha acquisito notevole popolarità per via della pandemia e della relativa esposizione mediatica e “legislativa”, esposizione poco gradita all’interno del parlamento, sopra tutti dal padrino dello stesso esecutivo, vittima della nemesi di quelli che lui chiamava i veti dei “partitini”, l’uomo che dal 4 dicembre 2016 ha il dente avvelenato, Matteo Renzi. Ne esce un voto di fiducia e una maggioranza pasticciata che si rivolge, come ricordato dal “premier”, a chi ha una “chiara vocazione europeista, popolare, socialista e liberale”. Anche se c’è poco di chiaro se non l’espressa volontà di ammiccare ai forzisti e quindi al Cavaliere, accettando così d’indossare fronte e retro di quella medaglia prima proibita.
Eppure, chi scrive in questo momento crede che l’invito del Presidente del Consiglio, seppur involontariamente, sia la vera opportunità da cogliere in questo momento. Sì, perché il vero significato della parola crisi, rimanendo in tema sanitario (tanto attuale) rappresenta quella che è la fase decisiva di una malattia, in senso favorevole o meno. Dunque, se è vero che la situazione non solo è grave ma è anche seria, è necessario che questa crisi sia un’opportunità, sfruttata la quale vengano davvero espresse tutte le sensibilità politiche all’interno dell’esecutivo, non più mezze alleanze pronte a cambiare, ma un’alleanza unica che traghetti l’emergenza. Non una crisi di governo, ma un governo della crisi.
[…] di scena. Tra molteplici veti, minacce ed insidie pare che l’auspicato “governo della crisi” stia prendendo forma. Il capitano? Un nome come un altro, il Professor Mario Draghi, come […]
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[…] distruttivo piuttosto che costruttivo. E quale condizione migliore, se non quella di un “governo della crisi”, per intraprendere questo percorso di maturità della classe […]
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