In questo 2021, una delle poche certezze che abbiamo, è che la pandemia causata dal virus Covid-19 penalizzerà ulteriormente le condizioni occupazionali dell’Italia e molto probabilmente a farne maggiormente le spese saranno i giovani. Un giovane appassionato di politica non può rimanere indifferente di fronte al dramma del futuro lavorativo dei giovani.
In questo articolo cercherò di descrivere la situazione occupazionale della nostra generazione aggiornata al 2019. Si evidenzia quindi che i dati di oggi saranno ancora più drammatici di quelli che verranno qui presentati. Inoltre, a conclusione del testo, sarà riportata la principale soluzione che il governo italiano dovrà adottare per uscire da questo pantano e finalmente si comprenderà il motivo per il quale è stato scelto questo titolo.
Come preambolo vorrei sottolineare che i giovani (tutti coloro di età inferiore ai 35 anni) in Unione Europea sono il 39% della popolazione, mentre in Italia siamo solo il 34,1%. Nonostante vi siano quasi 5 punti di differenza, il dato italiano non è da sottovalutare; volendo i giovani potrebbero ampiamente essere la prima forza politica italiana in termini di consenso. Ovviamente questa affermazione è una provocazione, in quanto sono conscio che tra gli under 35 una parte rilevante non ha ancora il diritto di voto, ma è necessario prendere coscienza del fatto che, se ben organizzati, abbiamo ancora una massa critica tale da poter influenzare fortemente il sistema politico. Chiusa questa parentesi, passiamo ai dati occupazionali: nella fascia di età compresa tra i 25 e 29 anni l’Italia si colloca in ultima posizione con il 54,6% di tasso di occupazione, contro una media UE del 75%. Già questo primo dato è abbastanza preoccupante, paghiamo 20 punti percentuali di occupazione rispetto alla media UE; il Paese che ottiene i risultati migliori è Malta con un tasso di occupazione dell’89,8%. Sul fronte tasso di disoccupazione (età 25-29), l’Italia si colloca in terzultima posizione con il 19,7%, contro una media UE del 9,2%. Sotto di noi si collocano: la Spagna con il 20,4% e la Grecia con il 28,5%. Il Paese migliore in questione è sempre Malta con il 2,7%; anche in questo caso il divario con la media UE è elevato e si aggira attorno al 10%. Per introdurre il prossimo dato, si rammenta che nel tasso di disoccupazione si raccolgono tutti gli individui che effettivamente stanno cercando una posizione lavorativa. Passiamo ora all’ultimo parametro dove l’Italia si colloca ancora come fanalino di coda, si tratta del tasso Neet: in questa categoria rientrano tutti i giovani tra i 25 e 29 anni che non cercano lavoro, perché scoraggiati nella ricerca, e che non stanno nemmeno intraprendendo un percorso di studi o formativo. Il tasso Neet italiano è del 30,9% contro una media UE del 17,1% (quasi la metà). Nel nostro Paese, in media quasi un ragazzo su tre di età compresa tra i 25 e i 29 anni non cerca lavoro e non studia; premetto che non sono uno psicologo ma mi prendo la licenza di affermare che questa situazione è abbastanza impattante per l’autostima e la salute psichica di questi giovani.
Sempre nella fascia di età compresa tra i 25 e 29 anni, a differenza che nel resto dell’Unione Europea, il tasso di occupazione non aumenta con l’aumentare del titolo di studio. Questo aspetto può spiegare in parte il motivo per il quale i nostri giovani laureati lascino il paese per cercare lavoro o condizioni lavorative migliori nel resto dell’UE. Per completezza, di seguito, presentiamo i tassi di occupazione in base al livello di studio:
- Titolo di studio basso: tasso di occupazione 54,6%;
- Titolo di studio medio: tasso di occupazione 57,2%;
- Titolo di studio elevato: tasso di occupazione 55,4%.
Nel paragrafo precedente, abbiamo descritto una motivazione che spinge i giovani italiani ad emigrare. Ora, introduciamo una seconda motivazione: la divergenza tra la mansione lavorativa che viene svolta e il titolo di studio che si possiede. In Italia nella fascia di età compresa tra i 25 e 34 anni risultano sovra-qualificati il 37% dei lavoratori: questo dimostra che più di un terzo dei giovani lavoratori esegue una mansione denigrante rispetto alla sua effettiva preparazione. Spesso nel dibattito pubblico sentiamo affermazioni che incentrano il problema italiano sul basso tasso di laureati (27,6%) a confronto con la media degli altri paesi UE (39,2%), ma quale sarà il nostro futuro se il mercato del lavoro non valorizza queste qualifiche?
Ora, vi starete chiedendo come si possa invertire la rotta della nave Italia che inesorabilmente sembra che stia navigando alla deriva verso il grande scoglio della globalizzazione. Al timone della nave abbiamo visto scambiarsi diversi premier Schettino e diverse coalizioni, ma la sensazione sembra quella di non essere in grado di tornare protagonisti. Sicuramente è vero che i vincoli esterni che ci imbrigliano dalla nascita della Repubblica e alcuni vincoli interni determinati da errori costitutivi dello Stato italiano rendono l’operazione complessa, ma una via d’uscita potrebbe esserci. La maggior parte degli Stati tende ad utilizzare le risorse interne che possiede per accrescere la propria forza economica e prestigio internazionale; in poche parole, conoscono se stessi e utilizzano quello che possiedono al meglio. Gli esempi più semplici di quanto ho descritto sono gli Stati che possiedono grandi quantità di materie prime estrattive da sfruttare, vi cito per completezza gli esempi più emblematici: Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar, Venezuela. Vi potreste immaginare l’Arabia Saudita che non sfrutta la ricchezza dei suoi giacimenti petroliferi? Altri Stati, invece, sfruttano altre caratteristiche dovute alla loro capacità di essere i migliori in un determinato ambito. Come esempio, vi potrei citare la Svizzera e gli Stati Uniti d’America. La Confederazione Elvetica, in passato, ha sfruttato il segreto bancario per diventare uno dei principali poli finanziari mondiali, mentre ora sta sfruttando la forza del franco svizzero per costituire un fondo sovrano che le garantisce entrate aggiuntive e forza di persuasione sui mercati finanziari. Che dire invece degli Stati Uniti? Vi immaginereste gli USA a non investire buona parte del loro bilancio nella marina militare? Il principale bene statunitense è lo strapotere militare che al momento lo rende l’unico Stato in grado di essere un attore globale e non semplicemente regionale (Cina, Russia, Iran, Francia, Turchia).
Veniamo ora all’Italia, qual’è il principale capitale che può vantare il nostro Paese? I giornali, a proposito, spesso citano: turismo, cucina e prodotti locali, clima, tessuto imprenditoriale, ingegno, inventiva, capacità innovativa. Sono in effetti tutti punti dove possediamo enormi potenzialità, ma che hanno ancora la necessità di grossi investimenti per diventare portanti. L’esempio più eclatante è il turismo dove, nonostante la ricchezza del nostro patrimonio culturale, siamo battuti, in termini di indotto e numero di visitatori, da altri Stati molto meno ricchi di fascino. La fortuna principale del nostro Paese è la nostra propensione al risparmio. In termini di ricchezza privata l’Italia si colloca tra i primi posti al mondo con Germania e Giappone. La ricchezza totale delle famiglie italiane si aggira attorno ai 9000 miliardi di euro, all’interno di questo dato le voci interessanti sono i 4400 miliardi investiti in attività finanziarie e i 1300 miliardi in depositi e liquidità. Questi numeri fanno gola in Europa dove i nostri cosiddetti partner a più riprese sperano di impossessarsi di questa ricchezza. Nonostante la pandemia da Covid-19, la propensione al risparmio degli italiani è rimasta alta e questa notizia ha spinto personaggi sinistri a paventare l’introduzione della patrimoniale. Vade retro sinistri, guai a voi se toccherete i frutti dei nostri sacrifici per qualche bonus (reddito di nulla-facenza)! Un governo serio dovrà utilizzare questa ricchezza per convincere i cittadini dell’utilità di investire in titoli di Stato italiani e quindi adottare delle misure di incentivo che portino al dimezzamento di quanto viene speso in interessi sul debito: sarebbero circa 27 miliardi di euro all’anno di risparmio. Queste maggiori entrate dovranno servire nei primi anni a recuperare il divario di investimenti accumulato nei confronti dei nostri sedicenti partner europei e successivamente alla progressiva riduzione del debito. Le regole di Basilea impediscono alle banche di investire un’eccessiva parte dei loro depositi in titoli di stato italiani. Questo avvantaggia altri protagonisti del mercato a scapito nostro. Si deve prendere atto di questo vincolo e agire immediatamente in difesa del Paese. L’operazione dimezzamento dei tassi d’interesse porterebbe via poche risorse di quei 1300 Mld di liquidità poiché sono convinto che, al momento dell’annuncio del piano, i mercati si stabilizzerebbero automaticamente sul livello di tasso d’interesse di obiettivo (i nostri titoli non fanno così schifo). Le restanti risorse dovranno essere veicolate in attività di microcredito che consentano la ricostruzione del tessuto di micro e piccole imprese che sono in sofferenza a causa della pandemia. Salvare le nostre imprese dalla malavita e dalla concorrenza cinese deve essere un obiettivo di difesa nazionale immediato da attuare.
Il dimezzamento dei costi pagati sugli interessi del debito saranno il volano per la ripartenza dell’Italia e per l’abbattimento della disoccupazione giovanile, ma solo se ci sarà una classe politica in grado di fare investimenti e non spesa corrente. Le possibilità ci sono, è sufficiente imparare a conoscere se stessi e iniziare a premiare il merito e il pragmatismo a scapito della demagogia propagandistica e dell’assistenzialismo.