Accordo UE-Cina sugli investimenti: fortuna o danno?

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Il legame economico che unisce l’Unione Europea e la Cina è da sempre forte ed eterogeneo. E questo è risaputo. La Repubblica Popolare Cinese, infatti, è il secondo partner commerciale dell’UE (gli Stati Uniti sono il primo). Tuttavia, il 30 dicembre 2020, non pochi hanno mostrato un certo grado di stupore dinnanzi all’intesa raggiunta tra Bruxelles e Pechino circa il contenuto del CAI (Comprehensive Agreement on Investments), l’Accordo globale tra UE e Cina sugli investimenti.

I negoziati
Il fronte europeo vede notoriamente con favore gli scambi commerciali con la Cina. Nel 2013, infatti, la Commissione Europea ha condotto un impact assessment circa i rapporti con Pechino seguito poi – nel 2014 – dall’inizio delle trattative sul CAI. Gli obiettivi che i due Paesi si sono prefissanti sin dall’inizio includono un accesso a lungo termine ai mercati cinese ed europeo, oltre alla protezione degli investitori di ambo i lati.

L’accordo 
Al termine dell’anno che tutti vogliono dimenticare – qualche giorno prima dell’ufficializzazione della vittoria di Biden contro Trump – l’Unione Europea e la Cina hanno concluso la lunga trattativa che li vedeva ormai da tempo impegnati sul fronte CAI. L’accordo è stato finalmente raggiunto dopo un’impegnativa videoconferenza tra Xi Jinping, Presidente cinese, Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, Charles Michael, Presidente del Consiglio Europeo, la Cancelliera tedesca Angela Merkel a nome della Presidenza del Consiglio UE e il Presidente francese Emmanuel Macron.

Sulla base di quanto stabilito nella bozza ufficiale – non ancora votata dal Parlamento europeo, né dal Consiglio dell’UE – la Cina ha assunto impegni significativi in ambito produttivo. Questo settore rappresenta più della metà degli investimenti totali dell’UE, con un 22% per le materie prime e un 28% per il settore automobilistico. Sono inclusi altri investimenti per il terziario lato sensu, tra i quali servizi finanziari e trasporto marittimo internazionale e aereo. La conseguenza principale sarà l’acquisto di affidabilità per le imprese europee nei settori appena menzionati. Inoltre, la Cina non sarà più in grado di introdurre nuove pratiche discriminatorie. È interessante notare come un certo grado di attenzione sia stato destinato anche al tema dell’impatto ambientale, poiché il CAI vincolerà le parti a seguire specifici valori e principi di sviluppo sostenibile.

Sia l’UE sia la Cina devono ancora formalizzare il testo dell’accordo, poiché la bozza deve essere tradotta e revisionata legalmente, prima di essere sottoposta all’approvazione del Consiglio europeo e del Parlamento.

Rilievi critici 
Sicuramente il CAI non convertirà la Cina ai valori occidentali in termini di società e governance politica, ma rappresenta un significativo passo avanti per la globalizzazione regolamentata, fortemente promossa dall’UE. Può essere considerato, inoltre, una mossa strategica per la Cina, soprattutto dal punto di vista geopolitico. Tuttavia, c’è anche chi vi ha mosso aspre critiche. Come noto ai più, gli Uiguri musulmani nella provincia dello Xinjiang sono attualmente perseguitati dal governo cinese poiché appartenenti a una minoranza etnica, storicamente malvista dal regime. Ciò ha portato molti a lamentarsi del fatto che il governo cinese non abbia accettato di includere alcuna clausola contro il lavoro forzato nel CAI. Sulla questione, Pechino ha unicamente dischiuso le porte alla flebile possibilità di una adesione futura alle Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che proibiscono tali abomini.

I leader europei hanno sempre affermato di voler mantenere una posizione neutrale circa il conflitto USA-Cina. Tuttavia, alcune osservazioni vanno fatte. Taluni denunciano a gran voce la (possibile) vittoria di Xi Jinping nella divisione dell’Occidente, poiché il neo-Presidente degli Stati Uniti Joe Biden non ha preso parte al tavolo dei negoziati. Un punto interessante sulla questione è stato sollevato da Paul Taylor, editore del quotidiano statunitense Politico. Egli ha ricordato che “l’Europa non ha bisogno dell’approvazione degli Stati Uniti per gestire i rapporti con Pechino”. Inoltre, non va dimenticato che “Washington – a suo tempo – non si consultò con l’Europa prima che il presidente Donald Trump lanciasse la sua guerra commerciale unilaterale contro la Cina”. Altri, tuttavia, hanno sollevato rilievi di segno opposto, come Henry Olsen del Washington Post. L’editorialista ha auspicato che l’amministrazione Biden denunci il comportamento della Cina in materia di diritti umani, in modo tale che i governi dell’UE “accolgano in una certa misura le richieste degli Stati Uniti”. È innegabile che l’era del secondo Dopoguerra sia stata caratterizzata dal predominio economico degli Stati Uniti, ma non si è forse conclusa? Non si rischierebbe, altrimenti, un revival della dottrina del containment, in pieno stile Kennan?

In tutta onestà, questo accordo potrebbe effettivamente rappresentare un sollievo per le economie europee, poiché molte si trovano al momento a essere stagnanti e vacillanti a causa della pandemia. Ma siamo sicuri che la Cina rispetterà lo stato di diritto? Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la Repubblica Popolare Cinese ha di recente violato le sue promesse di mantenere lo status separato di Hong Kong, tanto da arrivare ad arrestare almeno 53 attivisti per presunta sovversione.

Opinioni contrastanti
La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha mostrato tutta la sua positività nei confronti del CAI, affermando che: “[…] l’accordo è una tappa importante nel nostro rapporto con la Cina e per la nostra agenda commerciale basata sui valori. Fornirà un accesso senza precedenti al mercato cinese per gli investitori europei, consentendo alle nostre imprese di crescere e creare posti di lavoro. Impegnerà anche la Cina a rispettare principi ambiziosi in materia di sostenibilità, trasparenza e non discriminazione”. Di segno opposto è Bernard Guetta – deputato europeo di Renew Europe – il quale ha parlato di “une error économique et politique“, poiché “è sempre pericoloso far credere a una dittatura di poter fare qualsiasi cosa e non essere punita, ma premiata” (Libération, 13 gennaio 2021).

Chi avrà ragione? È necessario aspettare per dirlo, ma – è risaputo – trattare con il signor Xi Jinping è sempre un salto nel vuoto.

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