È il secondo sport per importanza al mondo, eppure agli occhi di quella parte del globo che non lo segue rimane un mistero. Del calcio bene o male le regole si imparano subito, ma un neofita che guardi una partita di cricket è destinato a crucciarsi per giorni sulle apparenti bizzarrie che governano questo gioco. A tratti diviene perfino difficile spiegare quelle folle faraoniche che in India e Pakistan gremiscono stadi stracolmi all’inverosimile, così come quei siti pirata che spuntano come funghi sul web distribuendone gratuitamente la visione. Si dice che la semplicità di uno sport ne consacri la popolarità, ma il caso del cricket è senza dubbio un’eclatante eccezione.
Il cricket è giocato quasi esclusivamente in Inghilterra, dove è nato, e in tutti quei territori che un tempo fecero parte del glorioso impero di Sua Maestà: India, Sri Lanka, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Caraibi, etc. Questi Paesi formano tuttora una comunità sportivamente e culturalemante coesa, in virtù dei rapporti più o meno stretti che li legano o li legarono all’Impero Britannico. Per capire appieno il cricket è, dunque, necessario entrare in una precisa ottica, ovvero quella di un ambiente eminentemente vittoriano, entro cui questa disciplina è fiorita. Non avrebbe senso affermare che nulla sia cambiato nel regolamento e nello stile di gioco dalla fine dell’800 ad oggi, ma di certo il cricket è il più conservatore di tutti quegli sports che dall’Inghilterra sono partiti alla conquista del mondo nell’ultimo secolo.
Al suo interno sono tuttora messi in rilievo, più che in ogni altro, quei valori cavallereschi di onestà e di rispetto dell’avversario che fin troppo spesso vediamo calpestati e ignorati in molte altre discipline. Esemplificativo è il recente scandalo che nel 2018 ha travolto la nazionale australiana, i cui giocatori sono stati sorpresi dalle telecamere internazionali mentre manomettevano la palla durante lo svolgimento di un test match. In qualsiasi altro ambiente la reazione sarebbe stata indignata, forse, ma non troppo, mi verrebbe da dire, mentre nel mondo del cricket è scoppiato un polverone da cui l’Australia non si è ancora pienamente ripresa. Lo stesso Primo Ministro australiano espresse profondo rammarico in quell’occasione e l’autore del gesto, insieme al capitano e al vicecapitano, due dei migliori crickettisti al mondo, vennero squalificati senza riserve da ogni competizione per un intero anno solare.
Questo episodio rimane e rimarrà un’onta irrimediabile per una delle squadre simbolo di questa disciplina. Per gli australiani sarebbe stato mille volte meglio una sonora sconfitta, piuttosto che vedere la propria squadra gettata in questo disonore calvinistamente imperdonabile secondo il modello anglosassone.
Si profila, dunque, un ritratto più chiaro di un oggetto all’apparenza così impenetrabile. Il cricket è innanzitutto uno sport di nazionali più che di club: rappresentare il proprio paese (spesso sfidando l’inglese invasore) continua a rimanere l’aspirazione di ogni giovane appassionato, cosa che non in tutti i casi si può applicare, per esempio, al calcio. Ma sopra ogni cosa conta lo Spirito del Gioco. Esso è il preambolo alle leggi del cricket (il solo termine “leggi” dovrebbe aiutare a comprendere il vincolo che lega il singolo giocatore al regolamento) all’interno del quale sono codificati tutti quei valori di lealtà e rispetto che vigono sovrani sopra ogni altra normativa, per quanto astrusa possa essere, concernente il gioco in sé. Questo, prima di ogni complicata regola o di qualsiasi ruolo dal nome strampalato è il cricket: uno sport dove vincere non è ancora tutto e dove qualcuno prima di essere giocatore deve essere un gentiluomo.