Ore 06:15 del mattino, 10 gennaio 2021. Suona la sveglia, ti stropicci gli occhi, sbadigli, ti alzi. Dieci minuti dopo guidi la tua auto ascoltando distratto qualche notizia alla radio, parcheggi, entri al bar e fai colazione. “Un macchiato caldo per favore!” mormori al barista mentre prendi una bustina di zucchero grezzo. “Subito!” risponde lui.
Basta qualche riga e un po’ di immaginazione per descrivere l’inizio della giornata della maggior parte di noi, e se c’è qualcosa che riguarda tutti, o quasi, è proprio il caffè. Arriva nel 1570, a Venezia, quando Prospero Alpino ne porta qualche sacco dal lontanissimo oriente. Da lì in poi il caffè diventerà non solo una delle bevande più consumate della penisola (218 botteghe solo a Venezia nel 1763), ma anche un vero e proprio rito di socializzazione che ancora oggi ricopre un ruolo di estrema importanza per l’incidenza che ha nello scandire le nostre giornate e per i valori di convivialità e familiarità tipici di quell’italianità assolutamente rintracciabile proprio in ogni singola tazzina di caffè.
A metà mattinata, dopo pranzo, per la merenda del pomeriggio, in alcuni casi anche dopo cena, come digestivo. Liscio, macchiato, lungo, varietà Arabica, Robusta, Liberica, tu come lo prendi? Il variopinto panorama appena descritto è già indice di che cosa significa il momento in cui ci troviamo a bere il caffè. È di fronte alla macchinetta o al tavolo di un bar che le persone coltivano i propri rapporti informali, gli stessi che poi determinano i flussi informativi, le percezioni, le idee o il clima aziendale. E cos’è che si offre all’idraulico o all’elettricista quando entrano nelle nostre case per ripararci la caldaia o il contatore? La risposta è sempre la stessa.
“La danza dei caffè. L’interazione faccia a faccia in tre luoghi pubblici”, si chiama così l’opera pubblicata nel 2011 da Massimo Cerulo, professore di Sociologia nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Perugia , in cui definisce il caffè come un vero e proprio rito sociale ed è proprio questa caratterizzazione che è stata carpita, negli anni 80, da Howard Shultz, fondatore di Starbucks Coffee Company. Proprio in quegli anni a Milano erano presenti circa 1500 caffetterie, ognuna di esse oltre a offrire un prodotto di qualità, garantiva un senso di comunità ed intimità, quasi un’estensione del proprio portico di casa. Cerulo propone una serie di attività connesse a questo rito sociale e, come fosse un gioco, ci si può divertire a confermare o smentirne il contenuto. Secondo il sociologo, il caffè permette l’incontro tra amici, colleghi, amanti o sconosciuti con i quali condividiamo interessi o stringiamo accordi; dà origine a comportamenti sociali come interazioni e registri linguistici; facilita l’ingresso in società ai ragazzi tra i 13 e 18 anni; avvicina membri di classi, ruoli e provenienze sociali diverse; incentiva pratiche di solidarietà come il “caffè sospeso” a Napoli; unisce opinioni politiche-culturali differenti come testimoniato da quanto accade nelle caffetterie universitarie; è un riconoscimento dell’autenticità della materia prima per l’Italia all’estero e valorizza le capacità dei professionisti della degustazione. Vero o falso?
Insomma, il caffè, che è stato definito nella nostra Storia prima una bevanda demoniaca e poi una bevanda assolutamente cristiana, è veramente un’abitudine sociale condivisa, un perno attorno al quale gira gran parte della nostra vita, che dà lavoro a 800 aziende in Italia, le cui miscele diventano simbolo di prestigio, bellezza e qualità nel mondo. Quasi tutti noi, chi prima chi dopo, l’hanno assaggiato, e quasi tutti lo faranno assaggiare ai propri figli, portando avanti quella semplice occasione con cui scegliamo di iniziare la nostra giornata e di condividerne un pezzetto con gli altri: “ci prendiamo un caffè?”.