Ore 11:55 del 3 febbraio 2021, l’auto del professor Mario Draghi varca i cancelli del Palazzo del Quirinale per incontrare il Presidente della Repubblica. Cinque minuti in anticipo rispetto all’orario stabilito (12:00). Nulla di straordinario, si penserà, anche se qualcosa fuori dall’ordinario quell’impeccabile puntualità può rappresentare, soprattutto se fino ad oggi e in particolar modo nel “periodo pandemico” la normalità si mostrava a noi spettatori come un concetto oramai estraneo alla realtà delle cose.
La condizione di emergenza e la situazione di caos erano riproposte tali e quali, in purezza, dalle nostre istituzioni, che si mascheravano dietro al concetto di rappresentanza, riuscendo a evidenziare solamente inadeguatezza. Quadro che si sposa perfettamente con la cultura “dell’uno vale uno”, apoteosi del fenomeno “grillo-governista”. È passato un mese dall’apertura della crisi di governo, sembra passato un anno, e lo scenario descritto come lunare da molti autorevoli osservatori si è prontamente verificato. La realtà ha mostrato ancora una volta di essere più forte delle narrazioni dominanti, alimentate dal modello contemporaneo di “comunicazione istantanea”. Ed è proprio lo stesso paradigma che viene messo in radicale discussione da quel classe ‘47 che venerdì, presso la Camera dei Deputati, ha completato l’iter per incassare la fiducia in entrambi i rami del Parlamento.
Torniamo al principio, al 3 febbraio 2021: uscito dal colloquio con il Presidente Sergio Mattarella, con tono della voce e viso emozionato, il Professore, con 2 minuti d’intervento, diviene Presidente del Consiglio incaricato. Da quel momento, passando per lo scioglimento della riserva e il giuramento, un modello comunicativo orfano di veline, anticipazioni e indiscrezioni varie, si è sentito smarrito, sfogando il suo stordimento in ricostruzioni, sì fantasiose, ma che non nascondevano la loro vaghezza, cercando di riempire quel vuoto creato dalla non immediatezza delle informazioni. Un capo di governo che non si è sentito in dovere di creare una pagina social con la quale creare un legame fittizio con l’elettorato e che ha dato consegna ai suoi Ministri di parlare “quando necessario”. Annientando così la retorica “dell’uno vale uno” e ridando dignità alla parola leader. Pare si stia quindi verificando quella condizione favorevole al costituirsi di un humus sociale e politico fertile, in grado di insegnare alla comunicazione politica che, attraverso un periodo fisiologico di assestamento, ci si può discostare dal vecchio conflitto partitico, contraddistinto da un carattere distruttivo piuttosto che costruttivo. E quale condizione migliore, se non quella di un “governo della crisi”, per intraprendere questo percorso di maturità della classe dirigente?
Il contesto parlamentare ci porta però con i piedi per terra. A fronte del discorso del Presidente del Consiglio che richiama all’unità del Parlamento, auspicando “un sostengo che non poggia su alchimie politiche, ma sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno […]”, sono rari gli interventi delle nuove forze di maggioranza che rispecchiano questo spirito. Infatti ogni partito, legittimamente, ha rivendicato i rispettivi punti programmatici, appoggiando sì il governo, ma spesso con degli sguardi troppo miopi. Esempio di questo atteggiamento è l’intervento dell’On. Pellegrini del M5s, partito in pieno travaglio (scusate il gioco di parole), che ci spiega come “i nostri iscritti ci hanno chiesto di essere attenta sentinella per scongiurare spiacevoli ritorni a un passato di austerity, di macelleria sociale e di letterine da Francoforte…”.
Il Presidente Mario Draghi conclude così il suo discorso: “oggi l’unità non è un’opzione, ma un dovere guidato da ciò che sono certo ci unisce tutti, l’amore per l’Italia”. Come sappiamo la luna di miele finisce, poi comincia la quotidianità, portandosi appresso nel bene e nel male tutte le sue sfide. Una gelida analisi, degna dei tifosi più appassionati della Realpolitik ci suggerirebbe uno scemare di questo entusiasmo e un conseguente prendere piede della divisione portata dalle istanze dei partiti. A chi scrive ora piace ricordare che questi, paladini della realtà interpretata come esclusivo incrocio d’interessi, erano gli stessi che non ritenevano possibile vedere sotto lo stesso tetto le suddette forze politiche. Chiaro, noi siamo osservatori, non protagonisti diretti, ma dobbiamo avere la consapevolezza che potremmo esserlo indirettamente. Dobbiamo smetterla di credere che la forma e la sostanza siano due concetti inconciliabili e invece intuirne il legame inscindibile che, se riconosciuto, può essere fonte di un’armonia vitale.