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La Repubblica di Armenia torna a far parlare di sé sui quotidiani di tutto il mondo dopo mesi di relativo silenzio seguiti alla firma del cessate il fuoco con l’Azerbaigian il 10 novembre dell’anno scorso. Già in quell’occasione il Paese, o almeno una parte di esso, si era infiammato irrompendo nella sede dell’Assemblea Generale a Erevan e chiedendo le dimissioni del Premier Nikol P‘ashinyan, il quale, nonostante tutto, ha mantenuto la sua carica fino ad oggi.
Nelle recenti giornate la tensione è risalita velocemente dopo che il 24 febbraio lo stesso Premier aveva forzato il Primo Sottocapo di Stato Maggiore, Tiran Khach‘atryan, a consegnare le proprie dimissioni in seguito a un alterco verificatosi con il governo riguardo all’efficacia di alcuni armamenti nel recente conflitto in Nagorno-Karabakh. La reazione dell’esercito si è palesata con una lettera, firmata da quaranta alti ufficiali delle forze armate, la quale richiedeva le dimissioni del Primo Ministro, non ritenendolo più in grado di governare adeguatamente il paese. P‘ashinyan non ha tardato a condannare questo atto come un tentativo di golpe, invitando, allo stesso tempo, i suoi sostenitori a radunarsi nella capitale per protestare contro le posizioni sostenute dai militari. Nel contempo il Presidente della Repubblica di Armenia, Armen Sargsyan, si è rifiutato di richiedere le dimissioni del Capo di Stato Maggiore dell’esercito per questo atto di insubordinazione.
Alla grande manifestazione di ieri sera si è opposta, nei giorni scorsi, quella parte di popolazione che ritiene P‘ashinyan responsabile se non della sconfitta, almeno di una scellerata e prolungata continuazione del conflitto. Le varie proteste contro il Primo Ministro di questo fine settimana sono sfociate, ancora una volta, nell’assalto a un palazzo governativo. La tensione, dunque, continua a salire in un Paese che oltre alla sconfitta ora deve affrontare anche pesantissime divisioni interne. A questo punto la strada che molti ritengono più adeguata, e a cui il Premier sembrerebbe pronto a ricorrere, sarebbe quella delle elezioni anticipate, di modo che il popolo possa pronunciarsi una volta per tutte su chi vuole che governi il Paese nel prossimo futuro.
Non bisogna infatti dimenticare che P‘ashinyan salì al potere in seguito alla cosiddetta Rivoluzione di Velluto del 2018: una serie di proteste antigovernative contro l’allora classe politica filorussa e notoriamente corrotta che aveva governato ininterrottamente il paese dalla dissoluzione dell’URSS. Le proteste guidate da P‘ashinyan stesso erano culminate con il suo arresto e rilascio, seguiti dalle dimissioni dell’allora Premier Serzh Sargsyan (non parente dell’attuale presidente) e da nuove elezioni che avevano sancito la vittoria schiacciante del primo. Oltre a varare diverse riforme democratiche e anticorruzione, il volere del nuovo Primo Ministro era anche quello di distaccare il paese dalla soffocante influenza economica e militare della Federazione Russa di Vladimir Putin.
La dolorosa sconfitta nel Nagorno-Karabakh ha tuttavia dimostrato in maniera evidente alla Nazione come l’Armenia rimanga un vaso di coccio fra la potente Turchia e un ricco Azerbaigian che incontra sempre più i favori di un occidente cristiano, ma con una gran voglia di combustibili fossili. Di certo la Russia nel 2020 non ha dato lo stesso appoggio fornito nel 1991 durante il primo conflitto con gli azeri e adesso, dopo l’umiliante cessate il fuoco inflitto da Putin dopo più di un mese di strenua ma inutile lotta il popolo armeno si trova di fronte a un bivio: ritornare nell’orbita russa, armatura d’acciaio che limita i movimenti di chi la indossa, o continuare sul sentiero intrapreso lontano da Mosca, ma alla quasi mercè dei propri assalitori.
L’auspicio, in un caso o nell’altro, è che la decisione venga presa in maniera democratica e senza ulteriori ingerenze dell’apparato militare.
[…] seppur in ritardo, a parlare delle vicende politiche verificatesi in Armenia negli ultimi mesi. Nel nostro ultimo articolo avevamo discusso di come fra febbraio e marzo di quest’anno le piazze dell’intera Nazione, e in […]
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