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La conquista russa del Caucaso settentrionale fu uno scontro che imperversò per più di 80 anni, dal 1783 al 1864, nonostante i confini dell’Impero fossero posizionati ben più a sud di quei territori, rendendo questa, di fatto, una frontiera interna e una continua spina nel fianco di San Pietroburgo. Le due figure cardine della resistenza furono Mansur Ušurma e il celeberrimo Šamil, i quali guidarono la lotta pan-caucasica contro l’invasore rispettivamente dal 1783 al 1791 e dal 1834 al 1859.
Il vero fulcro di questa resistenza si concentrava soprattutto nella parte nordorientale del Caucaso, grosso modo in quei territori che oggi corrispondono al Daghestan e alla Cecenia, dove una situazione sociale più egalitaria e un maggiore radicamento dell’Islam diede vita nel XIX secolo al muridismo (dall’arabo murid ‘discepolo’), movimento religioso e politico antirusso di cui Šamil fu senza dubbio il maggior esponente. La situazione in Circassa era leggermente diversa, innanzitutto perché la presenza di un’aristocrazia diede modo ai Russi di cooptare una parte della nobiltà già nei primi anni del conflitto e allo stesso tempo la limitata islamizzazione rese queste etnie molto meno inclini al richiamo della guerra santa che echeggiava da est. Fattore non secondario fu, poi, il fatto che fra Circassia e Cecenia risedevano, e risiedono tuttora, gli Osseti, cristiani ortodossi e alleati storici della Russia, i quali per tutto il conflitto tagliarono in due il fronte dei guerriglieri caucasici.
Tuttavia, una volta che Šamil venne sconfitto nel 1859, in Circassia la lotta armata non si concluse, anzi si inasprì. Nel 1861 a Ekaterinodar lo zar Alessandro II impose a una delegazione di capi circassi, venuti a trattare la pace, non solo la completa sottomissione, ma anche l’espropriazione delle loro terre e il loro trasferimento a nord del Caucaso. Il rifiuto della maggior parte del popolo circasso di sottostare a tali ordini protrasse la guerra per altri tre anni, nei quali l’esercito russo fece terra bruciata nel territorio e ne espulse in massa gli abitanti. Le opzioni per gli sconfitti erano o insediarsi in pianura o emigrare nell’Impero Ottomano.
Molti scelsero la seconda opzione e intrapresero, così, un lungo viaggio, per mare e per terra, verso le terre del sultano. Le terribili condizioni di viaggio di questo esodo forzato provocarono numerosissime perdite, su cui tuttora le stime non concordano, a questo e ad altri popoli caucasici. Centinaia di migliaia di persone (forse più di un milione) si traferirono dunque in Anatolia e nel Medio Oriente dove ancora oggi rappresentano un’importante minoranza etnica e linguistica.
Giunti a questo punto è doveroso interrogarsi su questi eventi e chiedersi se si può parlare o meno di genocidio considerando nel complesso tutti gli avvenimenti appena presi in esame. I metri di giudizio al proposito variano da chi considera l’Olocausto un unicum a chi utilizza il termine genocidio in maniera fin troppo banale. Per i Circassi, così come per molti altri fatti storici, bisogna essenzialmente comprendere se dietro a queste atrocità ci sia o meno una componente ideologica che assimili questo ai genocidi novecenteschi. Le fonti in tal senso concordano, invece, sulla natura pragmatica dei fattori che spinsero i Russi ad agire in tale maniera: essi intendevano, probabilmente, sgominare una potenziale testa di ponte per un’invasione del territorio russo attraverso il Mar Nero oppure il volere era quello di impossessarsi delle fertili terre in cui i Circassi abitavano e assegnarle a coloni di origine slava. È comunque pressoché certo che l’intenzione non fosse quella di eliminare totalmente la popolazione e, nonostante abbiano intrapreso quella che senza dubbio può essere considerata una guerra di sterminio, chi si sottomise all’Impero venne risparmiato e non ucciso in virtù della sola appartenenza a questa etnia.
Per questo motivo, tenendo comunque conto della tragicità dell’evento storico e di quanto una guerra di sterminio sia vicina a un genocidio, sarebbe scorretto utilizzare quest’ultima definizione per descrivere il massacro dei Circassi, non tanto perché tali fatti contino meno di altri, ma perché oggi più che mai è necessario avere una conoscenza chiara, distinta ed adeguata di tale materia per evitare di adoperare etichette inesatte e usate con fini prettamente politici.
(Liberamente ispirato a FERRARI A., I circassi in Russia: un genocidio sconosciuto?, in ID. Il grande paese, Milano – Udine, Mimesis Edizioni, 2012, pp. 199-208.)