Quarantuno colpi di cannone in ognuna delle quattro capitali delle Nazioni costitutive del Regno Unito, quarantuno colpi di cannone nelle capitali delle Nazioni del Commonwealth. Riecheggiano nelle orecchie dei mesti sudditi i suoni dell’ultimo saluto a Philip Mountbatten, consorte della Sovrana del Regno Unito e Duca di Edimburgo.
L’Union Jack calata a mezz’asta segna un evento storico.
La morte del Principe Filippo è l’inizio del tramonto di una generazione della famiglia reale che, impotente dinanzi al tempo, si prepara a far spazio all’era di ‘King Charles’. Il Duca, quasi centenario, era il punto di riferimento per la famiglia reale, di totale immersione nel proprio ruolo. In un’epoca dominata da uomini forti, Filippo era costretto a essere l’uomo di casa, l’uomo della famiglia. Un ruolo abbastanza insolito per un ufficiale della marina che ha contribuito all’invasione dell’Italia meridionale durante la Seconda Guerra Mondiale.
Che non si dica con un linguaggio degno di buonismo becero: “stava un passo indietro alla Regina”. Philip Mountbatten non ha fatto nessun insignificante e stupido passo indietro. Ha incarnato a un livello eccezionale il suo ruolo, unico nella Monarchia britannica. La sua missione era di essere il consorte della Regina, di amare un Paese non proprio, di accompagnare la responsabilità che gravava su sua moglie fino alla morte. La dedizione totale al suo ruolo e alla Corona hanno reso un principe esiliato e rimbalzato tra le corti di mezza Europa la persona più cara al popolo britannico e forse a tutto il mondo. Sono dimenticate o ignorate le sue visioni totalmente contrastanti con la narrativa progressista che domina il mondo.
Un uomo rude, militarista, a tratti razzista, con passati legami con la dittatura nazista è riuscito a commuovere tutti i mezzi stampa del mondo. L’intero mondo compiange la morte di un uomo che, se non fosse stato principe, sarebbe probabilmente stato uno dei più detestati dagli stessi giornalisti che ne scrivono pezzi strappalacrime. Ricordano in pochi le parole che si suppone siano state pronunciate dal Principe nel lontano 1988, in cui sostanzialmente si augurava che si potesse reincarnare, nell’ora della sua morte, in un virus pandemico che risolvesse il problema della sovrappopolazione. Dimostrando così una visione difficilmente condivisibile sia da un anglicano sia da una persona dai valori minimamente civili.
Il sottoscritto non dimentica chi fosse e che cosa pensasse il defunto, ma ne onora la convinzione e la forza. Mai dimenticherò quando il Duca di Edimburgo 96enne portò a termine il suo ultimo atto come membro della casata reale e come Ammiraglio della flotta britannica; sotto la classica pioggia londinese onorò la bandiera, la flotta e i suoi marinai con un misto tra orgoglio per l’incarico svolto e commozione per l’allontanamento totale dalla sua amata marina militare.
La famiglia reale, i Suoi devoti sudditi e gli amanti della Monarchia britannica sentiranno la Sua mancanza, o Duca.
Riposi in pace.
Should auld acquaintance be forgot,
Auld Lang Syne
and never brought to mind?
Should auld acquaintance be forgot,
and auld lang syne?
For auld lang syne, my jo,
for auld lang syne,
we’ll tak’ a cup o’ kindness yet,
for auld lang syne.
And surely ye’ll be your pint-stoup!
and surely I’ll be mine!
And we’ll tak’ a cup o’ kindness yet,
for auld lang syne…