Oltre le frontiere dentro l’Europa, parte II

Quale collegamento tra i migranti di Lipa e il sistema Dublino?

Nell’Agenda Europea della Migrazione del 2015 si progetta il controllo degli arrivi cercando di alleggerire Italia e Grecia. Il documento prevede diverse clausole e prospetta anche la partecipazione dei Paesi balcanici in futuro. L’Agenda Europea della Migrazione, coacervo di buoni propositi, non sta funzionando.

Lipa è solo uno dei molteplici effetti del fallimento della gestione del fenomeno migratorio in Europa, il sistema Dublino il documento che voleva prevenirne il fallimento. Speranza naufragata.

Ma andiamo con ordine.

La politica dell’Unione in materia di asilo è uno dei segmenti costitutivi dello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Essa è una competenza concorrente, suscettibile di essere esercitata attraverso l’adozione di norme comuni, così consentendo all’Unione di adottare qualsiasi atto legislativo, anche di armonizzazione, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà. Di conseguenza, l’Unione Europea non solo può ma, a mia opinione, ha l’onere di legiferare in materia di immigrazione.

Nel 1990, solo trent’anni fa, gli Stati Membri dell’Unione Europea insieme a Norvegia e Islanda,  sottoscrivevano la Convenzione di Dublino per regolamentare la gestione degli arrivi dei richiedenti asilo in Unione. Il documento entra in vigore nel 1997. L’accordo prevede che la responsabilità di riconoscimento e prima accoglienza di un richiedente asilo sia dello stato di “primo approdo”. Tale regola è il tassello che, una volta caduto, come in un domino, ha compromesso tutto il sistema.

Negli anni ’90 l’Europa non immaginava o non voleva immaginare il numero di conflitti futuri: dal Kosovo alla Siria, per non parlare delle guerre perenni e della terribile povertà dell’Africa. Scenari catastrofici che non possono essere analizzati in questa sede, ma fanno immaginare la quantità di persone alla ricerca di pace.

Tornando dunque al Sistema Dublino, dopo una revisione di poca importanza del 2003, questo viene riformato nel 2013 con il regolamento 26 giugno 2013 n. 604, senza particolari risultati, ma si inizia a comprendere che qualcosa non funziona.

Il 3 ottobre 2013 il Mar Mediterraneo urla: un barcone si ribalta nelle acque vicino a Lampedusa. È il giorno in cui la comunità internazionale viene disperatamente e finalmente chiamata ad aprire gli occhi. “Caro Letta, venga a contare i morti con me”. Non è una provocazione quella del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. È un urlo di dolore, una richiesta di aiuto di fronte a una tragedia troppo grande da sopportare. Ai cadaveri ripescati in mare si sono aggiunti, ora, anche quelli trovati dai sommozzatori sotto il barcone rovesciato: 40 morti. Sotto ce ne sarebbero almeno altri cento. Sulla terraferma ne sono stati trascinati 93, 155 le persone messe in salvo. A salpare dalla Libia, però, erano in 450-500. Chi veniva dalla Somalia, chi dall’Eritrea. O dalla Siria, l’inferno.

L’Unione Europea reagisce alla tragedia con tempi che definirei “eurocratici”: ci si chiede se sia necessario muoversi e fare qualcosa. I Paesi di primo approdo, Italia e Grecia soprattutto, ma anche Spagna, sono stati abbandonati dall’Europa, come prevedibile, a causa della regola del Paese di primo approdo. Una simil politica di “abbandono” non può più essere portata avanti.

I tempi “eurocratici” sopra accennati producono la Risoluzione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa 2072/2015 After Dublin, the urgent need for a real European asylum system”: si richiede una modifica del Sistema Dublino. È evidente quale sia la falla della non gestione: uno Stato da solo non può controllare i flussi e serve solidarietà da parte di tutti gli altri Stati Membri. 

Quegli anni incontrano un ulteriore e forse conseguente ostacolo: la sospensione del trattato di Schengen da parte dei più importanti Stati Membri. Il 13 settembre 2015 la Germania sospende l’accordo a seguito di un naufragio al largo delle isole greche. Anche la Francia, teatro di attacchi terroristici, dal 13 novembre 2015 si avvale della sospensione. Le migrazioni mettono in crisi l’Unione Europea e lo spirito comunitario; per questo, nel 2016, la comunicazione della Commissione Europea istituisce un piano per ritornare allo spazio senza frontiere.

La gestione dei flussi dovrà essere uno degli strumenti. “Occorre intervenire in tre settori per riportare alla normalità il sistema Schengen di gestione delle frontiere. In primo luogo occorre rimediare alle gravi carenze constatate nella gestione delle frontiere esterne da parte della Grecia. Gli Stati membri, le agenzie dell’UE e la Commissione dovrebbero tutti assistere la Grecia a questo scopo”. 

Sulla reazione del “torniamo a Schengen”, si avvia una proposta di riforma del Sistema Dublino, chiaramente non idoneo (è una ripetizione, è vero, ma anche la Cancelliera Angela Merkel più volte ha ribadito il mal funzionamento del sistema), tuttavia i tempi sono quelli già detti e ridetti, “eurocratici”. 

Nel 2016 la Commissione comunica ai due organi legislativi la volontà di riformare il Sistema Dublino e tra gli europarlamentari co-relatori vi sono Elly Schlein e Alessandra Mussolini. La proposta principe è redistribuire i migranti: il paese di primo approdo non può più essere il solo responsabile, ma ogni Stato Membro deve accogliere un certo numero di persone ed essere responsabile della loro accoglienza.

Proposta ovvia e facile a dirsi, non altrettanto a farsi. Perdonate la ripetizione, ma gli Stati Membri non accolgono di buon grado questo “onere condiviso”. Primi tra tutti, gli stati del cosiddetto blocco di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Cieca, Slovacchia) dissentono da una simile richiesta dell’UE. La Commissione quindi prova a condizionare il ricollocamento dei migranti con l’accesso a determinati finanziamenti dell’Unione e, chiaramente, questi paesi pongono il veto. L’Unione Europea è un gioco di equilibri e interessi comunitari e non, ma quando si tratta di migrazioni emerge il peggior sentimento e interesse sovranista degli Stati Membri.

Ne consegue il fallimento della riforma del Sistema Dublino. 

La Convenzione c’è ancora, tutti sanno che manca di efficienza, ma nessuno ha la volontà di modificarla o di abolirla una volta per tutte. 

Nel 2020? In realtà nulla è cambiato, se non l’avvio dell’Agenda Europea sulla Migrazione lanciata dalla Commissione Von Der Leyen per modificare la gestione dei flussi. Una proposta non totalmente in linea con il principio di accoglienza, ma non è questa la sede per parlarne, forse nella prossima puntata.

Un’ultima riflessione: l’Unione Europea si basa su grandi, esimi, nobili, eccellenti valori. Solidarietà, democrazia, diritti umani sono pilastri della comunità. Eppure questi sembrano svanire quando entrano in gioco oneri di accoglienza per gli Stati Membri. La procedura decisionale non giova quando si toccano temi delicati come le migrazioni. Le nazioni europee sono accoglienti, democratiche e rispettose dei diritti umani fino a che non si sentono invase e allora ergono muri, mettono tornelli e filo spinato, creano zone franche, sequestrano navi e indagano giornalisti, tutto, ma proprio tutto, per ignorare degli esseri umani. 

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