Russia nucleare

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Qual è oggi, a 35 anni dal più catastrofico incidente nucleare nella storia dell’umanità, lo stato dell’atomico civile nella Federazione Russa?

Alle ore 1:23 del mattino del 26 aprile del 1986 esplodeva il reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl’, nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. L’incidente, appena trapelata la notizia, avrebbe avuto grandissima risonanza, trasformando forse per sempre l’energia nucleare agli occhi del mondo e contribuendo a peggiorare ulteriormente l’immagine che in Occidente si aveva dell’Unione Sovietica, ormai in agonia. Qual è oggi, a 35 anni dal più catastrofico incidente nucleare nella storia dell’umanità, lo stato dell’atomico civile nella Federazione Russa?

Il disastro di Černobyl’ è stato causato da una letale combinazione di fattori. Dalle varie inchieste condotte nel corso degli anni successivi alla catastrofe, emerse chiaramente la colpevolezza dei tecnici e dei responsabili che condussero il reattore numero 4 fino al punto di non ritorno. Ma l’incidente non fu causato solo dall’incoscienza – o dall’inconsapevolezza – degli addetti. Il reattore, appartenente alla classe “RBMK” (da allora i reattori della classe sono diventati noti come tipo-Černobyl’), presentava una serie di debolezze strutturali e di progettazione che, a causa della ossessiva segretezza che in URSS circondava le informazioni e, in particolar modo, quelle relative all’energia atomica, di vitale importanza per la sicurezza nazionale e per l’immagine esterna dell’URSS, erano stati in gran parte taciuti agli stessi tecnici.

A causa della grande necessità di energia elettrica e del relativo buono stato degli altri tre reattori, al di là della contaminazione radioattiva, la centrale di Černobyl’ continuò a funzionare, nell’Ucraina indipendente, fino al dicembre dell’anno 2000. Oggi in Russia sono ancora in funzione nove reattori RBMK, opportunamente migliorati per operare in maggiore sicurezza.

Rosatom, l’agenzia pubblica che in Russia si occupa di tutte le attività correlate all’energia atomica – l’estrazione e l’arricchimento dell’uranio, la costruzione e lo smantellamento degli impianti e dei reattori nucleari, la gestione dei rifiuti radioattivi –, ha comunicato all’inizio di quest’anno che nel corso del 2020 sono stati prodotti in Russia 215,746 miliardi di KWh grazie allo sfruttamento di combustibile nucleare. Si tratta del maggior quantitativo di energia prodotto in un anno sin dalla costruzione del primo impianto in Unione Sovietica, nonostante una sensibile riduzione nel numero degli impianti oggi in funzione rispetto a quelli che avevano permesso di stabilire il precedente record nel 1988.

Più del 20% del fabbisogno energetico nazionale russo è garantito dai 38 reattori nucleari operativi sul territorio della Federazione. La Russia è il quarto Paese al mondo dopo Stati Uniti d’America, Francia e Repubblica Popolare Cinese sia per numero totale di reattori sia per quantità di energia elettrica prodotta annualmente da fonte nucleare.

Oggi la Russia costituisce un autorevole produttore ed esportatore di tecnologia elettronucleare, nonostante quanto accaduto a Černobyl’ e nonostante abbia quasi interamente ereditato il parco impianti e reattori nucleari sovietico. Oggi la Federazione, attraverso Rosatom, esporta tecnologia, know how e costruisce centrali nucleari in giro per il mondo (sono stati completati impianti in India, Cina, Iran e Ucraina), fornendo il combustibile necessario al funzionamento delle stesse. La Russia è il sesto Paese al mondo per quantità di uranio estratta: provvede ogni anno all’estrazione di circa il 5,5% del fabbisogno mondiale. Rosatom, inoltre, produce circa il 45% dell’uranio arricchito prodotto annualmente nel mondo. È indispensabile arricchire l’uranio attraverso un processo lungo, costoso e molto complesso perché esso possa essere utilizzato come combustibile nucleare.

Infine, con particolare riferimento alla politica artica della Federazione Russa, della quale avremo modo di parlare in modo approfondito, la centrale nucleare Akademik Lomonosov merita una menzione speciale. Si tratta della prima centrale nucleare galleggiante, entrata in funzione nel 2019 nell’estremo Nord del circondario autonomo della Čukotka. La centrale è dotata di una limitata capacità di produzione di energia rispetto agli impianti tradizionali, ma riveste una fondamentale importanza nei futuri piani di espansione della Russia nella regione artica: servirà da volano  per l’economia locale fornendo diverse centinaia di posti di lavoro e contribuendo allo sviluppo di una regione molto remota e, per ovvie ragioni, arretrata.

In conclusione, l’incidente di Černobyl’ sembra non avere peggiorato l’immagine dell’energia nucleare agli occhi della popolazione e delle istituzioni della Russia e di diversi Stati appartenenti allo spazio post-sovietico (in Armenia e Ucraina, oltre che in Russia, le centrali nucleari continuano a funzionare). A differenza di quanto sta accadendo in Europa, con l’Italia che si ostina a non accettare l’energia nucleare e la Germania che si avvia a smantellare tutti i propri impianti entro il 2022, la Russia prosegue imperterrita nei suoi piani di sviluppo nucleare, fino a quando le risorse economiche a sua disposizione continueranno a permetterlo, inserendosi prepotentemente anche all’interno del circolo polare artico.

Un commento

  1. […] Il Mar Glaciale Artico, per gran parte dell’anno (da novembre a giugno) coperto da uno spesso strato di ghiaccio a causa delle basse temperature che caratterizzano la zona polare, potrebbe presto liberarsi dall’impedimento glaciale. Ciò consentirebbe l’apertura di nuove rotte commerciali: le enormi navi mercantili dalla Cina potrebbero raggiungere i porti russi artici o addirittura l’Europa in un tempo molto inferiore, e quindi con un forte risparmio economico, rispetto a quello che è oggi necessario attraversando il Canale di Suez. Ad approfittarne sarebbe ovviamente la Federazione Russa, che con il Mare Glaciale Artico condivide 24.000 chilometri di coste. Un ambizioso piano di Vladimir Putin vuole portare la regione artica russa, per ovvie ragioni, fino a ora, sempre lontana dai grandi investimenti, nonostante abitata da circa due milioni di persone, a livelli di sviluppo inimmaginabili. La Russia punta tutto sull’apertura della cosiddetta Северный морской путь, (Severnyj morskoj put’) o Rotta del Mare Settentrionale, per indurre il traffico navale pesante a spostarsi dal Canale di Suez allo Stretto di Bering. Per questo la Russia investirà centinaia di miliardi di rubli (quasi dieci miliardi di euro) nello sviluppo delle infrastrutture dei piccoli – per ora – porti e centri abitati dell’Artico e nel potenziamento della già imponente flotta di rompighiaccio nucleari di competenza di Rosatom. […]

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