Il caso riguardante l’etimologia del vocabolo “facchino” ha tormentato per anni la comunità scientifica, non essendo essa stata in grado di fornire una spiegazione adeguata a quella che per molto tempo è rimasta una vera e propria incognita. Non che le ipotesi siano mancate, anzi, fra il grande pubblico. Fino a praticamente pochi anni fa ha pressoché dominato la scena l’ipotesi avanzata da Giovan Battista Pellegrini, il quale a più riprese, fra gli anni ’60 e ’80, ha tentato di consolidare questa sua proposta proprio perché gran parte dei suoi colleghi non era assolutamente convinta dell’efficacia delle sue argomentazioni.
Pellegrini, rigettando una vecchia ipotesi basata sul francese faque (‘tasca’), propose nel 1962 come origine del termine, quasi per certo proveniente da Venezia secondo la documentazione, l’arabo faqih. I faqih in ambiente arabofono erano una figura giuridica spesso preposta al controllo delle merci nelle dogane dei porti maghrebini e per Pellegrini, dunque, il nome di questi dignitari arabi aveva subito un decadimento semantico fra la fine del XIV e l’inizio del XV, quando la condizione sociale di costoro si sarebbe abbassata fino ad obbligarli lavorare come portatori nei vari porti del Mediterraneo.
L’ipotesi era già costellata di dubbi alla prima formulazione da parte di Pellegrini: egli stesso ammetteva che questo decadimento sociale dei giureconsulti arabi necessitava di prove documentarie, così come la presenza di una comunità araba a Venezia che in quei secoli potesse giustificare l’origine veneziana del termine, almeno a livello scritto. Pellegrini ebbe modo di riesporre la sua ipotesi nel 1972 e nel 1985 in due articoli nei quali le prove riportate non fecero altro che confermare che quella avanzata era stata un’ipotesi del tutto congetturale.
Nel 2019 sulla rivista Lingua Nostra è uscito, tuttavia, un brillante articolo di Alessandro Parenti che sembra aver trovato una soluzione adeguata e soddisfacente a questo problema che per decenni ha diviso il mondo accademico.
L’indagine di Parenti viene innanzitutto condotta a partire dalla documentazione veneziana e del Nord Italia in cui questo termine compare per la prima volta. Il termine fachino trova le sue prime attestazioni a Venezia fra il 1435 e il 1443, dopo esse comparso a più riprese in testi di provenienza bolognese, ferrarese e veronese. È subito chiaro come nei documenti del XV secolo fachino non indichi semplicemente il portatore, ma, a un’analisi più accurata, fachino sembra riferirsi più a una provenienza geografica, piuttosto che a un mestiere specifico.
È noto da varie fonti storiche che in quell’epoca a Venezia vi fossero grandi masse di lavoratori provenienti dalle valli bergamasche i quali, essendo senza qualifiche particolari, svolgevano vari lavori di fatica presso le dogane della città. L’ipotesi che fachino sia un modo dispregiativo per riferirsi, in generale, a tutti i bergamaschi che eseguivano lavori di fatica nella Venezia del tempo trova conferma definitiva nei componimenti poetici di Andrea Michieli, detto Strazzola, poeta dialettale veneziano attivo fra XV e XVI secolo, il quale a più riprese attacca i bergamaschi riferendosi a loro con il termine fachini.
La domanda lecita e obbligatoria che Parenti si pone una volta arrivato a questo punto della discussione è: perché i lavoratori di origine bergamasca erano dunque chiamati fachini? Fachino era, già nel XIV secolo, un nome proprio tipico delle valli bergamasche proveniente con ogni probabilità da Lanfranchino, diminutivo di Lanfranco. Non ci dilungheremo in questa sede su come da Lanfranchino si sia arrivati a Fachino, anche se vi basti sapere che non è affatto raro che ci si riferisca ad un gruppo umano (distinto per provenienza geografica o per estrazione sociale) utilizzando un nome o un cognome tipico dello stesso (cfr. “Brambilla” per riferirsi a un rappresentante della piccola e media borghesia milanese). La fase finale di questo processo è l’identificazione di fachino non più come ‘portatore bergamasco’, ma più in generale come ‘portatore’.
L’articolo di Parenti sembra così chiudere definitivamente la questione riguardante l’etimologia di “facchino” con una spiegazione non tanto esotica come quella che Pellegrini propose nel ’62, ma sicuramente molto più economica, efficace e con chiari riscontri documentari e storici.