Habemus ITA (o quasi). In data 27 maggio 2021, la vicepresidente della Commissione europea delegata alla concorrenza Vestager e il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti si sono incontrati a Bruxelles (con il ministro dell’Economia Franco in videoconferenza). L’accordo, seppur non ancora delineato nei suoi particolari, prevede la dismissione della compagnia aerea di bandiera Alitalia nel giro di qualche mese. Di contro, verrà resa operativa ITA, il cui futuro nome commerciale non è ancora stato reso noto.
Perché gli italiani sono così stanchi di sentire parlare di Alitalia?
Alitalia Aerolinee Internazionali Italiane nasce nel 1946. Dimostratasi un’eccellenza del settore aviario, nel 1958 arriva a ricoprire il ruolo di mezzo di trasporto ufficiale per le Olimpiadi di Roma, guadagnando fama mondiale. L’inizio del declino si ha, però, negli anni ’90, con l’avvento delle compagnie aeree low cost.
Dopo un primo tentativo di fusione con AirFrance nel 1993 (miseramente fallito), Alitalia viene privatizzata nel 1996. Il governo Prodi quota in Borsa il 37% della compagnia, ma ciò non porta i benefici sperati. Nel 2006 si punta su una seconda privatizzazione: il governo avvia una procedura d’appalto, ma quando i concorrenti vedono i bilanci, si ritirarono tutti – tutti, tranne AirFrance, disposta a rilevare il 49,9% della compagnia, suppur con la previsione di un ridimensionamento della flotta aerea e un significativo taglio al personale. L’accordo viene concluso? Certamente no.
Berlusconi promette agli italiani di mantenere “l’italianità della compagnia” e, con la sua elezione a Presidente del Consiglio, nel 2009 entra in gioco la Cai – Compagnia Aerea Italiana, holding di imprenditori italiani promossa dal governo. Nel 2011, la Cai chiude il bilancio con 69 milioni di euro in perdita, paradossalmente con un dato di miglioramento rispetto agli anni precedenti. Con la crisi del 2012 Alitalia torna a colare a picco, perdendo oltre 600.000 euro al giorno. Nel 2014, il 51% della compagnia viene acquisita dal colosso arabo Etihad. In due anni ogni aspettativa di ripresa svanisce. Si opta per un salvataggio di Alitalia per mezzo dei soldi pubblici, con un investimento di circa 2 miliardi. La misura è sottoposta a referendum nel 2017 e la parola dei dipendenti Alitalia è chiara: il 67% si oppone. Nel frattempo, il MISE eroga un prestito ponte all’azienda per tirare avanti fino alla successiva vendita. L’operazione è oggetto di diverse denunce rivolte all’Unione Europea, per aiuto di Stato illegittimo – denunce, per altro, respinte a livello sovranazionale dal Tribunale, in primo grado, e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in secondo grado.
I controlli della Commissione sugli aiuti di Stato
La materia degli aiuti di Stato è oggetto di amministrazione diretta da parte dell’Unione Europea, con un ruolo centrale della Commissione. Di regola, i tentativi di salvataggio per mano pubblica sono visti come un fattore ostativo al mercato interno e alla libera concorrenza, tuttavia, l’art. 107 TFUE prevede alcuni casi di ammissibilità, laddove lo Stato intervenga per rispondere a calamità naturali o eventi eccezionali, a forti disuguaglianze in termini di sviluppo economico di talune regioni oppure per promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio o progetti comunitari.
Stanti queste premesse, appare più agevole comprendere, allora, perché attualmente sia in corso un procedimento di indagine formale della Commissione (avviato il 23 aprile 2018) sulla base delle denunce ricevute in relazione a un prestito di 900 milioni di euro concesso ad Alitalia dallo Stato italiano nel 2017. Il 28 febbraio 2020, inoltre, è stato avviato un ulteriore procedimento di indagine formale su un prestito aggiuntivo di 400 milioni di euro concesso nell’ottobre 2019.
Si rischia il ritorno dello Stato imprenditore?
Le politiche del Big Government sono state certamente ammesse nei primi trent’anni del XX secolo, ma è inevitabile riconoscere come le idee liberiste abbiano poi portato a un arretramento dell’intervento statale in favore di riforme orientate al mercato. Appare ragionevole, dunque, comprendere perché molti italiani si siano spaventati dinnanzi alle dichiarazioni rilasciate a Repubblica il 26 aprile del 2020 dall’economista e consulente dell’ex-governo Conte, Mariana Mazzuccato, che ha parlato della necessità di “uno Stato imprenditore che decida dove investire”.
Per taluni, queste affermazioni hanno richiamato lontano ricordo: l’Istituto per la Ricostruzione Industriale di Beneduce, nato da un mandato in bianco di Mussolini e divenuto protagonista della Ricostruzione postbellica italiana. Certo, sarebbe irrealistico pensare a un ritorno dell’Iri nei suoi tratti originari. E’ chiaro, piuttosto, che le parole della Mazzuccato abbiano fatto pensare all’espansione della presenza e del controllo dello Stato sul capitale industriale. Parole, peraltro, accompagnate da dichiarazioni di Romano Prodi, che ha lamentato la lunga assenza di una politica industriale nazionale.
Covid-19 ed elargizioni statali
Con l’avvento della crisi pandemica la libera circolazione globale è stata duramente colpita e ciò sta facendo riemergere il ruolo di salvataggio pubblico. Nel marzo 2020, lo Stato italiano ha versato 24,7 milioni di euro in sostegno ad Alitalia, per risarcire la compagnia aerea per i danni subiti su alcune rotte a causa dell’epidemia di coronavirus. Nel merito, la Commissione si è espressa nel senso di un’ammissibilità di tali elargizioni, poiché rientranti nell’alveo di aiuti concessi per danni causati da eventi eccezionali (ex art. 107 TFUE). La questione, però, non si è conclusa qui: Alitalia ha continuato a boccheggiare ed è stato necessario un accordo tra l’UE e lo Stato italiano, che prevede la dismissione di Alitalia, in favore della nascita di un nuovo operatore aviario, con meno rotte e una flotta più piccola.
La Commissione Europea ha chiesto che tra le due compagnie ci sia una discontinuità molto chiara, per evitare che ITA si trovi subito oppressa dai debiti della vecchia. Essa, inoltre, dovrà riuscire a stare sul mercato senza bisogno di finanziamenti statali, come invece è avvenuto finora.
Considerazioni conclusive
Il governo si è detto soddisfatto dell’accordo raggiunto con l’Unione Europea, nonostante sia l’inizio di un lungo percorso – come ammesso dallo stesso Giorgetti. Di contro, i sindacati si sono mostrati furiosi, in particolar modo Landini (Cgil), che chiedendo di ammettere i sindacati al tavolo delle trattative, ha affermato: «non abbiamo intenzione di accettare licenziamenti, la parola esuberi sarebbe ora di toglierla. Stiamo parlando di persone in carne e ossa che in questi anni hanno fatto funzionare Alitalia». Alitalia comunque continuerà a operare per tutta l’estate, e il governo ha già preparato un prestito da 100 milioni di euro per garantire la continuità del servizio. Proseguiranno nel frattempo le trattative e i lavori per il lancio della nuova compagnia, il cui esordio, ha scritto il Sole 24 Ore, dovrebbe arrivare non prima della fine di settembre 2021.
Mentre il ministro Franco parla della volontà di «restituire al Paese un vettore nazionale di trasporto aereo capace di assicurare collegamenti interni e al di fuori dei confini nazionali [e di] generare un ritorno economico per l’azionista pubblico», qui si ricorda la pericolosità di un invasivo Stato imprenditore. Perché? Perché chi controlla la cosa pubblica non può essere contemporaneamente controllato e perché lo Stato non ha né la mentalità né la capacità di svolgere adeguatamente l’attività d’impresa. Con l’auspicio che si sia giunti alla fine di un incubo tutto all’italiana, non resta che dire: «veritas filia temporis»!