La strage della funivia Stresa-Mottarone: l’amore di un padre salva il figlio

Sono le 12.30 circa di Domenica 23 Maggio 2021 quando un forte boato rompe il silenzio sulle rive del Lago Maggiore. La funivia che collega il comune di Stresa con la vetta del monte Mottarone (in Provincia del Verbano-Cusio-Ossola, Piemonte) si stacca dal cavo trainante e precipita nel vuoto. L’impatto è terribile e nello schianto perdono la vita quattordici passeggeri su quindici totali. Le vittime sono di nazionalità israeliana (5), iraniana (1) e italiana (8). Il solo superstite è il figlio più grande dei coniugi Biran, deceduti entrambi nella caduta: Eitan. Inutili i soccorsi che, a causa del luogo impervio, non riescono ad arrivare nel punto del disastro in modo tempestivo. Il piccolo Eitan viene trasportato all’ospedale Regina Margherita di Torino dove, dopo diversi interventi chirurgici, riesce a salvarsi.

Le dinamiche dell’incidente

La vicenda, nelle prime ore, è avvolta nel mistero. Nessun esperto riesce a spiegarsi le vere ragioni della tragedia. La procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, ordina subito il sequestro dell’impianto e dei luoghi circostanti, per iniziare a indagare sui motivi di un guasto “inaspettato”. La funivia, infatti, aveva riaperto da meno di un mese dopo settimane di controlli e di manutenzione e questa rottura è un vero fulmine a ciel sereno, almeno all’apparenza.

I giorni passano e il quadro completo sembra essere sempre più chiaro. La ricostruzione ufficiale della tragedia, avallata dalle testimonianze dei presenti, è la seguente: la funivia era a 100 metri dalla stazione finale quando il cavo portante si è tranciato e ha lasciato la cabina in balìa degli eventi. Il locale che ospitava i quindici passeggeri, quindi, è arretrato in modo repentino e ha raggiunto il pilone più vicino. In seguito allo schianto violento contro il pilastro di ferro, la cabina si è “scarrucolata” ed è stata liberata nel vuoto. Infine, dopo un salto di circa quindici metri, si è schiantata al suolo e ha causato il decesso dei passeggeri.

Le cause scatenanti il disastro sono ancora poco chiare ma, dopo quattordici giorni di indagini, alcune ipotesi sono state avanzate.

Il caposervizio Gabriele Tadini ai domiciliari

Nell’occhio del ciclone, poco dopo l’incidente del 23 Maggio, sono finiti i tre responsabili dell’impianto di risalita: Gabriele Tadini (caposervizio), Luigi Nerini (gestore) e Enrico Perocchio (direttore d’esercizio). I tre sono stati posti in stato di fermo, prima che il Gip di Verbania decidesse di liberare Nerini e Perocchio per mancanza di prove evidenti e ponesse ai domiciliari Gabriele Tadini.

La posizione di quest’ultimo, infatti, negli ultimi giorni, sembra essersi aggravata e sulla sua testa, ora, pendono gravi capi d’accusa. Ben due i passaggi chiave che hanno permesso agli investigatori di chiarire la posizione del caposervizio della funivia: l’aver fatto luce sulle dinamiche dell’incidente e l’aver raccolto le testimonianze dei dipendenti dell’impianto.

In seguito al sequestro della funivia, subito è balzato all’occhio un dettaglio inquietante, che ha chiarito il motivo per il quale la funivia si è sganciata dal cavo trainante. Su ordine di Gabriele Tadini, infatti, l’impianto che collega Stresa al Mottarone, da inizio stagione turistica, montava degli speciali “ceppi” per bloccare i freni di emergenza. A causa di alcuni problemi tecnici, infatti, la cabinovia sarebbe dovuta rimanere chiusa per poter svolgere le necessarie verifiche.

Un dipendente della Stresa-Mottarone ha infatti dichiarato: “Già un mese fa ho dovuto calare 38 persone da una cabina, bloccata a causa dei freni mal funzionanti”. Gli inquirenti hanno concluso che i forchettoni usati per bloccare i freni d’emergenza hanno fatto scaricare tutto il peso delle cabine sul cavo, che dopo svariati utilizzi, non ha più retto il peso della struttura.

Soldi, quattordici vittime e un superstite: una strage italiana

Gabriele Tadini sembra essere il principale colpevole di questa strage assurda e surreale. I suoi ordini e le sue rassicurazioni, basate sulla presunzione, hanno causato la morte di quattordici persone. Numerose le testimonianze di colleghi che nominano il caposervizio ma che mai fanno riferimento a Luigi Nerini o a Enrico Perocchio. A carico dell’esperto tecnico, con trentasei anni di esperienza alle spalle, vi sono le accuse di omissione dolosa di cautele, aggravata dal disastro, e di omicidi colposi plurimi.

Come per ogni tragedia di così grande portata, anche per quella della Stresa-Mottarone le indagini non dovrebbero concludersi in tempi stretti. La procuratrice capo di Verbania non esclude il coinvolgimento di altri colleghi di Tadini. L’uomo che ora è ai domiciliari, invece, cerca di difendersi e di coinvolgere anche i propri superiori. Quest’ultimo, infatti, dichiara di essere solo il capro espiatorio di una tragedia che vede coinvolti anche Nerini e Perocchio. Tadini dichiara di aver ripetutamente chiesto l’intervento dell’assistenza e di aver comunicato a Perocchio la decisione di continuare con i forchettoni ai freni d’emergenza. Inoltre, sostiene di aver informato anche Nerini in merito alla scelta effettuata, senza però aver ricevuto alcuna risposta.

Le considerazioni relative a un incidente evitabile

Mancate comunicazioni, silenzi d’assenso di chi non voleva perdere altri introiti dopo un anno di pandemia, decisioni prese per non dover bloccare l’impianto, la scelta di non chiarire le proprie posizioni per potersene lavare le mani in caso di incidente. Le valutazioni scellerate e le incomprensibili relazioni tra i tre indagati lasciano aleggiare su questo caso un alone di mistero e delineano il tipico comportamento omertoso “all’italiana”.

Il non sapersi assumere le proprie responsabilità, il voler provare a “giocare” tramite sotterfugi e scorciatoie, il voler uscire da ogni situazione con le mani pulite, nonostante si portino sulla coscienza le macchie del sangue versato da quattordici inconsapevoli innocenti.

La delinquenza di una gestione assurda com’è stata quella relativa alla tratta Stresa-Mottarone, poi, mette in secondo piano un dettaglio che, a maggior ragione, se analizzato attentamente, s’innalza per purezza e candore. Il piccolo Eitan è l’unico sopravvissuto alla caduta della funivia. Quel che lo ha salvato è stato il gesto tanto umano quanto commovente compiuto dal padre del piccolo: Amit Biran. Nel momento in cui la cabina si è staccata dalla fune, il trentenne israeliano ha abbracciato il figlio e lo ha protetto dal fatale impatto.

È quasi superfluo concludere affermando quanto il gioco col quale i tre responsabili stanno cercando di discolparsi e di ripulirsi la coscienza sia reso ancor più patetico e penoso da quest’azione così umana e toccante. La speranza, infine, è quella che la giustizia, un giorno, possa trovare i colpevoli di un disastro così assurdo ed evitabile.

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