È il 20 maggio 2021, ci troviamo vicino alle coste dello Sri Lanka e sta per scoppiare un disastro ambientale senza eguali nella storia di questo Paese. Una nave cargo battente bandiera di Singapore, la Mv-X Press Pearl, con a bordo diverse tonnellate di materiale chimico ha preso fuoco e, dopo una dozzina di giorni avvolta dalle fiamme, comincerà ad affondare nelle acque dell’Oceano Indiano.
Le stime riportano che buona parte del contenuto nocivo è stato eliminato dall’incendio, ma nel frattempo tonnellate di materie plastiche, tra cui soprattutto microplastiche, si sono riversate sui litorali incontaminati e nelle zone solitamente adibite alla pesca. Ogni giorno centinaia di squadre e volontari si riuniscono sulle spiagge per cercare di raccogliere il materiale plastico qui presente, attività resa ancora più complessa dal rischio di inalare le sostanze chimiche che sono al momento presenti nell’acqua del mare.

Ma non è finita qua. Il rischio maggiore, ora, è che i serbatoi di carburante potrebbero rompersi man mano che la nave affonda, rilasciando così circa 400 tonnellate di petrolio, che andrebbero ad aggiungersi alle sostanze chimiche e alle plastiche, distruggendo completamente la fauna e la flora marina della zona. Servirebbero diversi decenni per ripristinare il delicato ecosistema. Già da settimane si sono cominciati ad avvistare sulla costa numerosi pesci, tartarughe, crostacei e altri animali marini avvelenati, con conseguente divieto di pesca nella zona circostante.
Inizialmente si credeva di poter limitare le conseguenze, ma ora i danni ambientali sono diventati incalcolabili. Se da un lato vediamo gli effetti immediati, dall’altro non possiamo prevedere le conseguenze a lungo termine di questa catastrofe ambientale.
La polizia dello Sri Lanka ha aperto un’inchiesta sul danno per cercare di individuare i responsabili. Sicuramente non ci sono dei responsabili specifici, ma i colpevoli sono da ricercarsi nella struttura del commercio internazionale via nave. La nave incaricata di trasportare materiali così pericolosi non era sicuramente una nave moderna, dotata di sistemi di sicurezza all’avanguardia che, forse, avrebbero potuto evitare uno scenario così tragico.
E allora sorge spontanea una domanda: come è possibile che una nave non sicura possa trasportare materiali di questo tipo? Come ha affermato Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, in una dichiarazione, questo avviene perché si tende ad abbattere i costi, pensando che mai si possano verificare queste situazioni drastiche. Abbiamo ancora una volta l’ennesima dimostrazione di come il denaro sia la causa maggiore dei disastri ambientali: per arricchire i proprietari di queste attività si mette a repentaglio la sopravvivenza di intere aree marine, che impiegheranno decine, se non centinaia di anni per rigenerarsi, sempre che questo sia ancora possibile. È quindi necessaria una nuova regolamentazione per questi giganti del mare che ogni giorno trasportano tonnellate di materiali da un polo all’altro del globo terrestre, una regolamentazione che assicuri anche in caso di catastrofi uno smaltimento efficiente dei materiali nocivi, senza che questi finiscano inevitabilmente in acqua. Per fare questo sono richiesti importanti investimenti nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie più efficienti in ambito sicurezza. Vedremo, quindi, se a seguito di questo ennesimo incidente, la battaglia tra denaro e preservazione dell’ambiente naturale sarà per una volta vinta da quest’ultima.