Varsavia sfida l’Unione Europea

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Il 7 ottobre del 2021 la Corte costituzionale polacca ha sancito con una sentenza il primato della legge nazionale sul diritto comunitario. Questa sentenza è arrivata al culmine di una guerra giuridica tra l’Unione Europea e lo Stato polacco, iniziata con la richiesta da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea di modificare alcune riforme introdotte nell’ordinamento giudiziario polacco poiché contrarie al diritto comunitario. La corte polacca ha ribattuto affermando invece che sono alcuni articoli del Trattato sull’Unione Europea (TUE) a essere incompatibili con la Costituzione del Paese. È importante sottolineare che la sentenza non ha prodotto effetti diretti per quanto riguarda l’applicazione del diritto europeo in Polonia; essa ha il solo scopo di condizionare i giudici dei tribunali nazionali affinché non considerino le norme comunitarie quando dovranno esaminare futuri casi.

Già nel 2005 c’era stato un precedente con la dichiarazione del primato della Costituzione polacca, attutita al tempo dall’affermazione dell’obbligo per lo Stato di rispettare comunque tutti i criteri previsti dal Trattato di Lisbona. Dopo 16 anni la situazione non è cambiata: Varsavia vuole spingere perché la sua Costituzione prevalga sul diritto europeo ma, come ribadito dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen: “tutte le sentenze della Corte di Giustizia europea sono vincolanti per le autorità di tutti gli Stati membri, compresi i tribunali nazionali”. Il diritto comunitario prevale e deve prevalere sul diritto nazionale degli Stati membri; è la prima volta che uno Stato prova a ribellarsi sfidando apertamente i principi fondanti dell’Unione.

L’Unione europea funziona proprio perché i suoi membri hanno rinunciato a una parte di autonomia in ogni campo, compreso quello giudiziario, e non avrebbe modo di funzionare altrettanto bene se ogni Stato decidesse di ignorare i pilastri fondamentali del diritto comunitario a proprio piacimento. Su questo si è insistito il 21 ottobre durante il Consiglio europeo: i capi di governo dei Paesi membri si sono mostrati intransigenti nei confronti della decisione polacca, minacciando di non finanziare più la Polonia se questa non dovesse tornare sui suoi passi. Bruxelles non ha ancora deciso se tagliare i fondi, ma il leader polacco Mateusz Morawiecki non ha perso tempo e in un’intervista al Financial Times si è subito detto pronto a iniziare una terza guerra mondiale contro l’UE nel caso in cui ci fosse uno stop alle risorse finanziarie, provocando reazioni contrastanti all’interno della stessa Polonia, dove è stato – giustamente – criticato per la retorica guerrafondaia.

A seguito dello smacco polacco al diritto comunitario europeo, si è subito iniziato a parlare di una probabile Polexit, sulla falsa riga di quanto accaduto con il Regno Unito e la Brexit. Niente di più fuorviante. Innanzitutto, la Polonia non ha bisogno di un referendum per uscire dall’UE. Basterebbe una decisione del governo, decisione che non verrà mai presa in quanto sono i fondi europei a sostenere economicamente la Polonia, che altrimenti cadrebbe in uno stato di povertà. Inoltre, nell’ipotesi di un referendum per valutare le preferenze dei cittadini, l’opinione pubblica sarebbe quasi totalmente contraria a un’uscita dall’Unione e questo provocherebbe gravi disordini interni.

L’obiettivo polacco non era una Polexit, Varsavia voleva raggirare gli obblighi giuridici, modificando il Trattato europeo dall’interno per poter rimanere uno Stato membro senza dover rispettare il primato del diritto comunitario. Per ora il dibattito rimane aperto, ma se la Polonia vorrà ricevere i finanziamenti previsti dal Recovery Fund, dovrà necessariamente rivedere la posizione della Corte e adattarsi alle richieste di Bruxelles.

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