Stiamo vivendo una nuova guerra fredda?
“Our world cannot afford a future where the two largest economies split the globe in a great fracture – each with its own trade and financial rules and internet and artificial intelligence capacities”.
António Guterres, 2020
Durante la settantacinquesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2020, il Segretario Generale Guterres ha lanciato un campanello d’allarme: il mondo si sta avviando verso una grande frattura, una divisione profonda del globo tra Stati Uniti d’America e Repubblica Popolare Cinese.
Sono passati due anni, ma le cose non sono migliorate, anzi possiamo chiaramente affermare che la tensione USA-Cina è drasticamente aumentata. È interessante notare come la “profezia” di Guterres sia stata pronunciata nel 2020, con alla guida degli Stati Uniti un presidente repubblicano, isolazionista e fortemente critico del multilateralismo. Oggi, nel 2022, poco è cambiato. Se da un lato è vero che il Presidente Biden si è rivelato, sin dalla campagna elettorale, un convinto sostenitore del multilateralismo e ha cercato sin da subito di reinstaurare le relazioni della presidenza Obama con l’Unione Europea, dal punto di vista della politica estera non si sono visti molti cambiamenti. Anzi, la nuova presidenza democratica sta seguendo pedissequamente le orme di Trump, per esempio in Afghanistan, dove ha deciso di rispettare il trattato di pace con i talebani, o con la Cina. Mentre in campagna elettorale sembrava che una eventuale presidenza Biden avrebbe portato a una “distensione” con la Cina, in realtà così non è stato. Matthew Pottinger, vice consigliere per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione Trump, ha affermato che Biden sta mantenendo in gran parte le stesse politiche del Presidente che lo ha preceduto. E questo lo si può notare anche nei fatti. Ad esempio, Biden riferendosi alla Cina ha parlato di “competizione estrema”, ha denunciato i comportamenti di Pechino nello Xinjiang parlando di “genocidio”, ha ribadito, e continua a farlo, il proprio supporto, soprattutto militare, verso Taiwan e soprattutto ha mantenuto i dazi doganali che erano stati imposti da Trump. Dal punto di vista cinese la tensione non è certo minore, e a dimostrarlo c’è la costante aggressività nei cieli di Taiwan, la cui riconquista è per Xi Jinping un obiettivo primario, o il tentativo di migliorare i rapporti con la Russia, come si è potuto vedere alle inaugurazioni dei giochi olimpici invernali di Pechino e in altre occasioni.

Foreign Affairs, una delle più importanti riviste di politica estera nel mondo, è arrivata a dedicare il numero di novembre-dicembre 2021 a questa questione, parlando, in diversi articoli, di una nuova “guerra fredda”. Certamente l’utilizzo del termine “guerra fredda” è di stampo provocatorio, sia per l’ambiguità di questa espressione, sia perché la situazione attuale non rispecchia quella della guerra fredda, con il globo diviso quasi interamente in due fazioni. Ciononostante, la “grande frattura” è stata riconosciuta da tanti e per molti esperti, come il professor John Mearsheimer, la rivalità tra le due Superpotenze era inevitabile.
Proprio in un suo articolo, intitolato “La rivalità inevitabile”, viene spiegato come la “Grande Frattura” fosse in realtà, in origine, una minuscola crepa che si è via via ingrandita. Durante la guerra fredda (anche se sarebbe probabilmente meglio parlare di guerre fredde), la Repubblica Popolare Cinese era uno dei Paesi meno sviluppati al mondo e, pur essendo un Paese comunista, aprì presto al dialogo con gli USA, in particolare durante l’amministrazione Nixon. Negli anni ’80, Washington riconobbe addirittura a Pechino lo status di Nazione più favorita (most favoured nation), garantendo un maggior numero di affari commerciali e vantaggi economici. Secondo Mearshimer, con la fine della guerra fredda questo status sarebbe dovuto essere stato rinegoziato, in quanto non era più necessario mantenere buoni rapporti con la Cina, che invece negli anni precedenti era un partner strategico fondamentale, in quanto Paese comunista ma allo stesso tempo contrapposto all’Unione Sovietica. Le amministrazioni statunitensi però decisero di adottare un approccio più liberale, mantenendo ottimi rapporti con Pechino, con la speranza che con il tempo la Cina avrebbe implementato norme e costumi più democratici. Così non è stato e il Paese asiatico ha sfruttato brillantemente la propria struttura politica illiberale per sviluppare una economia sempre più robusta e sfidare la Potenza egemone statunitense.

Oggi la Cina sta per diventare la prima Potenza economica mondiale, avendo reagito con grande abilità alla pandemia di Covid-19. Tutto, compreso le parole citate all’inizio dell’articolo del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, fa pensare che oggi ci troviamo in uno scenario di una nuova guerra fredda. Personalmente, però, penso sia inadeguato parlare di guerra fredda, sia perché non c’è quella forte minaccia di guerra nucleare che ha caratterizzato il secolo scorso, sia perché manca la componente ideologica che invece era fondamentale nello scontro USA-URSS, sia perché, da un punto di vista geografico, non esiste quella delimitazione geografica (la Cortina di ferro, per citare Winston Churchill) che ha diviso per decenni il mondo in due parti.
Per queste ragioni credo che sia giusto parlare, oggi, di una “Grande Frattura”. Il mondo non è diviso in due come nel Ventesimo secolo, però le due maggiori Potenze globali sono esattamente l’una l’opposto dell’altra, hanno norme economiche, politiche e sociali totalmente differenti e sembrano sempre più vicine a uno scontro frontale. Eppure, l’assenza di fazioni definite come nella guerra fredda è il punto di forza di questo secolo, perché la presenza di dialogo, in particolare tra i Paesi “occidentali” e la Cina, potrebbe far sì che gli scenari più nefasti verranno evitati.
Si vedrà, in futuro, se la grande frattura verrà ricucita come una ferita, o se, invece, sarà destinata a trasformarsi in qualcosa di più serio che cambierà ogni scenario politico globale.