La repressione del dissenso: Aleksej Naval’nyj

Ieri, 22 marzo 2022, Aleksej Naval’nyj, leader dell’opposizione e del dissenso verso il Governo di Vladimir Putin, è stato condannato a 9 anni di carcere duro per frode e appropriazione indebita.

Come ricorderete, Naval’nyj era sopravvissuto nel 2020 a un avvelenamento da Novičok (un agente nervino sviluppato negli anni ‘80 proprio in Unione Sovietica). Dopo essere stato ricoverato in Russia, dove i medici non avevano riscontrato alcuna sostanza tossica, era stato trasferito in Germania, dove era stato scoperto l’avvelenamento. La Russia ha negato il suo coinvolgimento nel caso, ma, allo stesso tempo, non ha mai aperto un’indagine. Anzi: non appena rientrato in patria, Naval’nyj è stato arrestato all’aeroporto.

Evidentemente dispiaciuti per la mancata eliminazione fisica del dissidente, i membri del Governo russo hanno architettato una sentenza ad hoc per tenere Naval’nyj il più a lungo possibile fuori gioco. Gli USA ne hanno richiesto il rilascio immediato, così come l’UE, che ha ritenuto la condanna un artificiale processo politico definendola contraria ai diritti umani, di cui lo stesso Naval’nyj è un forte sostenitore, tanto da aver ottenuto nel 2021 il premio Sacharov del Parlamento europeo (PE) per gli attivisti dei diritti umani.

Nonostante la reazione internazionale, è difficile anche solo pensare che la Giustizia russa possa rivedere la sua decisione. Perché? Ci sono dei precedenti. Quello più eclatante e simile al caso di Naval’nyj è quello della condanna di Michail Chodorkovskij, ex oligarca russo colpevole semplicemente di essere uno dei primi oppositori di Putin. Egli è infatti il fondatore di Open Russia, un’organizzazione contraria a Putin che è stata bollata dal Governo russo come un pericoloso agente straniero. Chodorkovskij fu accusato proprio di frode fiscale, appropriazione indebita e riciclaggio di denaro (notate somiglianze?) e così, nel 2005, fu condannato all’incarcerazione fino al 2017. Ha scontato la sua pena tra un carcere di media sicurezza e il campo di lavoro YaG-14/10 fino a quando, nel 2013, fu scarcerato anticipatamente e si rifugiò a Londra, dove risiede tuttora.

La condanna a 9 anni di Naval’nyj è solo l’apice di un lungo processo di repressione del dissenso che è in atto da decenni all’interno della Federazione Russa. A fine 2021 è stato fatto un altro grande passo in questa direzione con lo scioglimento della ONG a difesa dei diritti umani Memorial, bollata anch’essa come agente straniero: un termine che rimanda a una retorica stalinista che conosciamo molto bene. Come si è visto chiaramente anche per le manifestazioni contro la guerra a seguito dell’invasione dell’Ucraina, il popolo russo non è libero di manifestare pubblicamente contro il Governo – ne sono un esempio gli oltre 15.000 arresti di coloro che hanno osato prendere parte a manifestazioni pacifiche, senza effettivamente commettere alcun crimine.

Forse il Governo russo pensava che la condanna contro Naval’nyj sarebbe stata offuscata dagli eventi bellici di questo ultimo periodo ma, come sostenuto dall’Unione Europea, l’aggressione militare è sullo stesso piano della repressione interna e vorrei chiudere questo articolo con le parole dello stesso Naval’nyj che, subito dopo la condanna, esortava tramite i suoi profili social il popolo russo a non farsi sopraffare dalla repressione e a continuare a lottare attivamente per i propri diritti:

“Il modo migliore per sostenere me e gli altri prigionieri politici non sono la simpatia e le parole gentili, ma le azioni. Qualsiasi attività contro il regime ingannevole e criminale di Putin. Qualsiasi opposizione a questi criminali di guerra.”

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