La sua neve bianca, i miasmi grigi delle sue fornaci e la spaventosa tinta rossa che talvolta assumono i suoi corsi d’acqua. Tutto questo fa da cornice a una città arcobaleno, nel cuore dell’Artico russo. Noril’sk è un posto davvero estremo, un deserto ghiacciato e mortale.
🇬🇧 For the English version click here.
Nel Nord più estremo del mondo, folate di vento gelido taglienti come lame acuminate sembrano gridare a gran voce per allontanare i folli che osano avventurarsi fin lassù. Paiono minacciose, ma altro non sono se non compassionevoli per la vita umana, che in quelle regioni non può sperare di sostenersi a lungo. Tuttavia, le proverbiali testardaggine e fame di risorse sono riuscite a portare l’uomo anche qui, dove l’unico legittimo padrone è – o dovrebbe essere – il freddo. Nell’Artico vivono oggi circa quattro milioni di persone, compresi i membri delle tribù indigene che da secoli qui sono stanziati.
L’esagerata ricchezza di risorse dell’Artico russo ha in ogni epoca spinto cacciatori, esploratori, mercanti e soldati verso le inospitali terre del Nord, favorendo la rapidissima espansione della Russia, che la portò fino alla costa dell’Oceano Pacifico, alla Kamčatka e alle isole Curili. Sin dal IX secolo dopo Cristo, dalla città di Novgorod partivano spedizioni di cacciatori alla ricerca delle preziose pellicce degli scoiattoli artici, dei lupi, delle volpi bianche e degli zibellini. I Russi cominciavano quindi così a conoscere la Carelia, la penisola di Kola e le coste del Mar Bianco e del Mare di Barents e le popolazioni indigene che vi abitavano, arrivando fino alle porte della Siberia. Le pellicce artiche e i tributi che con la forza i guerrieri di Novgorod e poi i Cosacchi di Mosca ottenevano dai nativi divennero ben presto la principale fonte di entrate dello Stato russo.

Con la fondazione dell’Unione Sovietica e, poi, con l’avvento al potere di Stalin, si decise di trasformare il nuovo Stato socialista in una potenza industriale di rango mondiale, sostanzialmente dal nulla: lo sviluppo dell’Artico cominciò quindi a essere preso seriamente in considerazione. Le tremende purghe e gli arresti arbitrari portarono al confinamento di milioni di persone nei campi di lavoro GULag, strategicamente fondati al Nord e nelle zone più disabitate dell’Unione, dove nessuno si sarebbe volontariamente trasferito ma dove c’era un’enorme necessità di forza lavoro. Ferrovie, strade, ponti, canali navigabili, complessi industriali e miniere dovevano essere costruiti per sfruttare efficacemente le immense ricchezze del sottosuolo.
Noril’lag fu uno dei tanti campi di lavoro GULag, fondato per ospitare i prigionieri – decine di migliaia di persone nei periodi di picco – che dovevano lavorare nelle miniere di nichel, palladio e rame, risorse delle quali la zona sulla quale sorgeva il campo era straordinariamente ricca. Noril’sk, la città sorta nelle vicinanze di quello che era stato Noril’lag, chiuso nel 1956, è oggi la seconda maggiore città a nord del circolo polare artico, con una popolazione di più di 180.000 persone.

I bambini a Noril’sk ricevono una dose giornaliera di raggi ultravioletti durante la notte polare per compensare la carenza della vitamina D, sintetizzata dal nostro corpo grazie all’assorbimento dei raggi solari da parte della pelle.
Noril’sk è un posto davvero estremo. La notte polare dura circa due mesi, da novembre a gennaio, nel corso dei quali il sole non sorge. Allo stesso modo, d’estate, il sole splende per l’intero giorno, non tramontando mai. La neve ricopre la città per circa due terzi dell’anno e le temperature medie d’inverno si attestano intorno ai 27 gradi sotto lo zero, giungendo a toccare i -50 °C. Noril’sk è però eccezionale non solo per ragioni naturali. La violenta industrializzazione alla quale è stata sottoposta l’ha trasformata, probabilmente, nella città più inquinata del mondo. Le fornaci e gli impianti industriali che lavorano i metalli estratti rilasciano ogni anno nell’aria milioni di tonnellate di agenti inquinanti e tossici per l’uomo, quali l’anidride solforosa, il cadmio, il piombo e l’arsenico. Questi causano nella popolazione locale irritazioni, allergie, malattie polmonari e malformazioni e portano a un’incidenza di casi di cancro estremamente elevata.
La situazione dell’aria che respirano gli abitanti di Noril’sk è così grave che l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 60 anni, di dieci anni inferiore al resto della Russia. I fiumi si colorano di rosso a causa dello sversamento nel loro corso degli scarti della produzione industriale, e la pioggia acida che cade sulla città ha talvolta lo stesso colore. Anche la neve si tinge spesso di rosso, arancione o giallo, a causa dei metalli pesanti e degli agenti chimici nell’aria.
Nel 2020, una cisterna crollò nel fiume Ambarnaja riversandovi circa 20.000 tonnellate di gasolio, colorandolo, ancora una volta, di rosso, e causando un disastro ambientale di proporzioni colossali. Come se non bastasse, nella regione della penisola del Tajmyr, nei pressi della quale si trova Noril’sk, si può rilevare una presenza piuttosto elevata di radiazioni, provocata da diverse esplosioni nucleari sotterranee effettuate nel corso degli anni dell’URSS.



Noril’sk fu fondata per essere una città ideale socialista. Doveva unire la funzionalità alla semplicità e alla razionalità tipiche dello stile architettonico sovietico. L’intera città è infatti costruita tenendo in grande considerazione l’ambiente nel quale si trova: gli stretti passaggi tra le abitazioni, i piccoli cortili e la posizione degli edifici servono infatti a proteggere la popolazione dagli aspri venti siberiani. I palazzi sono pitturati dei più disparati colori accesi, sia per dare una lontana illusione di bellezza in quello che, di fatto, è un inferno ghiacciato sia per consentire agli abitanti di riconoscere la propria casa durante le lunghe tempeste di neve invernali.

Da anni si parla di bonificare Noril’sk e di migliorare la situazione ambientale della città più inquinata del mondo. Trent’anni fa, alla caduta dell’URSS, fu fondata Nornikel’, una compagnia mineraria e metallurgica ad alta partecipazione statale, oggi multimiliardaria, che praticamente possiede la città e che dà lavoro pressoché alla sua intera popolazione. Nornikel’ avrebbe dovuto investire nel rinnovamento degli impianti e nella progressiva riduzione dell’inquinamento, ma non si è quasi mossa in questo senso, come anche l’incidente del 2020 sembra dimostrare.
Oggi Noril’sk resta una città gelida, inquinata, isolata e mortale. Le malattie respiratorie, le degenerazioni cardiovascolari, i malfunzionamenti digestivi e i tumori continuano a uccidere le persone che ci vivono, e dal mondo esterno nessuno può accedervi senza un permesso specifico rilasciato dal Servizio federale di sicurezza, erede del KGB. La città resta chiusa e inaccessibile. La sua ricchezza sotterranea deve essere protetta a ogni costo.
Esattamente come cinquant’anni fa.