Capitolo V: L’informatore
Mi avvicinai con fare circospetto alle sedute e, dopo aver incrociato per un breve atto lo sguardo con Joey, mi accomodai sullo schienale imperlato da una lunga giornata di schiene madide di sudore.
Mentre la folla cominciava a diradarsi e il corpo esanime di Billy Minneapolis veniva condotto al più vicino ospedale o camposanto, mi feci a fatica strada nella calca e, dopo pochi attimi, dietro di me risuonò il clangore della vecchia porta d’acciaio che faceva da ingresso ai servizi igienici di quella bettola.
Un pungente odore di prosciutto cotto avariato mi sventrò le narici. Non so se all’origine di questo fetore vi fosse il vecchio impiego del complesso quale macelleria o, piuttosto, il novello uso di tale ala dell’edificio in qualità di orinatoio. In ogni modo, mi feci coraggio e con passo svelto avanzai nel grande corridoio piastrellato di bianco che denotava, in maniera fin troppo evidente, come questo luogo di perdizione si fosse intrufolato in quella vecchia fabbrica in mattoni neri così come una banda di ratti si snoda silenziosa e indesiderata nelle pareti di una vecchia casa scricchiolante.
Tre ampie entrate (evidentemente ai vespasiani veri e propri) si aprivano sulla destra, mentre sul fondo una logora struttura in un legno scurito dall’umidità e da una vetusta vernice lasciava intendere ai visitatori che qualcuno ivi praticava con dovuta perizia l’arte del lustrascarpe.
Temetti per un istante che colui che cercavo non ci fosse, ma subito un berretto in una sciupata fodera scozzese emerse con uno scatto dalla radente oscurità rivelando la sagoma a me ben nota di Joey Tuckerby.
Nemmeno ora potrei affermare con sufficiente sicurezza di sapere qualcosa di preciso in merito a Joey, dal momento che, benché egli trascorresse gran parte della sua vita a raccogliere informazioni sugli altri, poco o nulla si sapeva in città sul suo conto. Ciò non sorprende in alcun modo, visto che raramente si presta molta attenzione a un centralino all’atto di chiamare qualcuno. Costui conduceva rigorosamente l’attività di lustrascarpe e, al contempo, ai suoi clienti più generosi soleva (e ciò chiaramente rappresentava la sua principale fonte di reddito) fornire informazioni, voci dalla strada o qualsiasi altro indizio che li potesse in qualche modo aiutare nei propri affari, nonché nei propri affari privati. Le fonti di Joey erano tanto ignote quanto loschi erano i frequentatori della sua piccola bottega. È verisimile credere che fu proprio questa la sua rovina: quando sul finire degli anni ’50 iniziarono a imperversare in città diverse faide fra bande rivali (dopo che John Sangennariello pensò bene di fare la pelle al nipote di quarto grado del boss Angelo Pagliuzzuolo), Joey provò a barcamenarsi in qualche maniera fra le mille fazioni che in quel periodo si prodigavano con tanta premura a tingere di rosso i selciati dell’intera Greater Area di Boston. Alla fine, dopo poco tempo, Joey sparì. Trovarono solo un vecchio cappello insanguinato in un vicolo vicino al Ye Olde Astonian Pub. Mi viene facile credere che per quanto egli cercasse di dire onestamente la verità a tutti, questa lo rese, più che libero, scomodo a molti.
Mi avvicinai con fare circospetto alle sedute e, dopo aver incrociato per un breve atto lo sguardo con Joey, mi accomodai sullo schienale imperlato da una lunga giornata di schiene madide di sudore. Mentre il lento e accurato processo di pulizia incominciava dissi:
“Allora Joey, come va?”
“Mah, Murray… i soliti alti e bassi, non cambia mai nulla da questa parti.”
“Eh sì, tu lo sai anche meglio di me… In ogni modo…” continuai mormorando, quasi sottovoce “non è che per caso avresti delle informazioni su quello che sta accadendo intorno alla famiglia Martense?”
“Martense… sì… sì… credo di averli già sentiti, ma non credo ti potrei essere molto d’aiuto. Sai bene che cerco sempre di non ficcare il naso negli affari altrui, soprattutto quelli di famiglia.”
Con una controvoglia malcelata estrassi, quindi, un biglietto da un dollaro nuovo di zecca.
Di fronte a una tale somma, Joey si levò subito il cappello, come per riverenza dinanzi alla figura di George Washington, il cui vivo volto stampato sulla cartamoneta pareva a tratti lanciare qua e là sguardi dardeggianti dalla misteriosa profondità psicologica.
Joey se lo infilò, dunque, in tasca, con una rapidità di mano certamente degna di nota, badando bene che nessuno, di passaggio verso le latrine, stesse osservando quella scena.