Ferlinghetti il beatnik

Quanti di noi hanno sempre sognato di partire per un road trip? Un viaggio per strada, noi e la nostra macchina, forse una manciata di amici e poi l’orizzonte.
Quanti di noi quando sentono “road trip” pensano alla Route 66? La strada che taglia a metà il nord America, tra nuvole bianche e lande desolate.

Forse questo nostro immaginario lo dobbiamo a opere come “On the road” del celebre scrittore Jack Kerouak, appartenuto, come Lawrence Ferlinghetti, alla Beat Generation.

“Oltre le strade sfavillanti c’era il buio, e oltre il buio il West. Dovevo andare.”

Jack Kerouac

Il 24 febbraio del 2021, all’età di 101 anni, ci ha lasciati il poeta Ferlinghetti, uno dei padri della Beat Generation. Nato nel 1919 negli Stati Uniti, di madre francese e padre italiano, più precisamente di Chiari (Brescia). In suo onore, oggi, vorrei aprirti la portiera della mia auto e percorrere insieme, quasi come fosse un road trip, la poetica della Beat Generation, per darti infine qualche consiglio cinematografico e/o letterario che ti aiuterà a comprenderne la grandezza.

Immagina di essere catapultato negli anni del secondo Dopoguerra e di aver visto con i tuoi stessi occhi gli orrori degli scontri armati e della bomba atomica, immagina di essere un brillante studente universitario nella città di Parigi, quali sarebbero le tue idee e i tuoi principi? Molto probabilmente anche tu come Lawrence inizieresti a maturare un radicale spirito pacifista e antimilitarista, per sperare in un mondo più libero e cosmopolita, anche se, proprio quel mondo stava per entrare negli anni freddissimi del bipolarismo e della guerra in Vietnam.

“O Bomba ti amo

Voglio baciare il tuo clank mangiare il tuo bum”

Gregory Corso

Ma torniamo in Francia, proprio lì Ferlinghetti conosce il poeta statunitense Kenneth Rexroth che iniziò a parlargli del nuovo panorama letterario che stava nascendo in California. La North Beach, la Little Italy, era un terremoto di idee e di musica, una su tutte il Jazz, che diventerà il simbolo musicale di quella nuova corrente letteraria che prende il nome di Beat Generation ed è proprio lì che Ferlinghetti volge lo sguardo: oltre l’orizzonte, dall’altra parte del mondo, dove decide di trasferirsi. Una volta atterrato negli USA, dopo aver attraversato il Golden gate bridge, a San Francisco Ferlinghetti fonda nel 1953 la City Lights, prima libreria al mondo a vendere tascabili, che divenne prestissimo un punto di riferimento per i beatniks (così venivano chiamati gli appartenenti alla corrente beat) di cui Ferlinghetti fece parte a partire dal 1955 con la pubblicazione della sua raccolta di poesie “Pictures of the Gone World”.

Ma cos’è stata la Beat generation?

Per scoprirlo ti chiedo di tornare un po’ indietro con lo sguardo e in un posto preciso: la Columbia University. È qui che, ancora studenti, si sono incontrati i fondatori del movimento beat: Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Lucien Carr, tre giovani insoddisfatti rispetto alle visioni e ai modelli di vita propinati dai professori universitari, tre spiriti infuocati da un unico desiderio: vivere in modo diverso, pieno e concreto. Ai tre sopracitati si aggiunserò più tardi, tra i molti, anche Gregory Corso e Neal Cassidy. I giovani beat contestavano gli schemi di una vita “normale” che secondo loro imprigionava l’uomo nell’alienazione e non gli permetteva di vivere davvero. Senza badare alle conseguenze, per vivere in maniera più sincera, si doveva ricorrere a qualsiasi mezzo compresi l’alcool e la droga. In questo i beat mi hanno sempre ricordato i “poeti maledetti” e quel voler drogare l’esistenza per viverla completamente.

La poesia beat, portata in Italia dall’immensa opera di raccolta e traduzione di Fernanda Pivano, e le sue pratiche sociali erano caratterizzate da un vitalismo dirompente e anticonformista che rivendicava ogni forma di libertà, convinta che impostare la propria vita per tappe (scuola, posto fisso, famiglia…) fosse sbagliato e soffocante. Per i beat la tradizione della società di massa e dei consumi andava stroncata e abbattuta perchè paralizzante e riduttiva, per questo trovavano la loro ragion d’essere nel movimento, nel non fermarsi mai, ed il loro simbolo divenne la strada. Ecco perché ho iniziato citando On the road di Kerouac, lo stesso che diede ai suoi amici il nome “beat” il cui significato oscilla tra: ritmatori, abbattuti e beati.

E una sorta di beatitudine senza scopi i beat l’hanno cercata mescolando LSD, cattolicesimo, taoismo, buddhismo e sesso sfrenato. Perché? Perché erano disposti a tutto per arrivare a vivere il tutto, alimentati dal desiderio di non perdere nessuna occasione e dalla paura di sprecare anche un solo grammo, una sola goccia, un solo secondo di vita. Sensoriale e spirituale.

Ecco cosa riporta a galla, oggi, la morte di Ferlinghetti che nella sua vita finì pure in prigione, accusato di oscenità, per aver pubblicato l’Urlo di Ginsberg.

“Santo il mare santo il deserto santa la ferrovia santa la locomotiva sante le visioni sante le allucinazioni santi i miracoli santo il globo oculare santo l’abisso”

Allen Ginsberg

Il nostro viaggio nella Beat Generation finisce qui, ma voglio consigliarti un paio di film che raccontano perfettamente quello che è stato uno dei movimenti artistici più liberi di sempre:

  1. Giovani ribelli – Kill your darlings con Daniel Redcliffe
  2. On the road con Kristen Stewart

E per non farci mancare nulla ecco tre titoli da leggere:

  1. Un luna park del cuore Lawrence Ferlinghetti
  2. Beat Hippie Yippie Fernanda Pivano
  3. I vagabondi del Dharma Jack Kerouac

2 commenti

  1. Conosco Ferlinghetti, un grande artista di cui ho visto una mostra a Brescia, nella mia città e nella città di cui era originario per famiglia!

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