Istituzioni tra comunicazione e fiducia

“Una comunicazione straziante” potrebbe essere il titolo del film che abbiamo visto andare in onda dall’8 marzo 2020 al 5 gennaio 2021, e di cui non si comprende quando e se vedremo i titoli di coda. Regia, ovviamente, dell’inarrivabile Rocco Casalino. Avete capito bene, il riferimento allude alle conferenze stampa del nostro Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. In questi oramai 10 mesi, contornati dalla crisi pandemica, siamo stati testimoni di come episodi di comunicazione politica (in questo caso governativa) possano dirci molto sulla condizione politico istituzionale del Paese.

Ma facciamo un passo indietro. Dal 1992, anno della sentenza dell’inchiesta definita giornalisticamente “mani pulite”, ha inizio la cosiddetta “seconda repubblica” e con essa una trasformazione, o presunta tale, non solo dal punto di vista partitico, ma anche comunicativo. È infatti irrompente la figura di Silvio Berlusconi che, per ovvi motivi, aveva una certa dimestichezza con il mezzo di comunicazione allora più capillare: la televisione. Come ben sappiamo oggi sono altri i protagonisti della scena politica nazionale, gli stessi che hanno dimestichezza con gli attuali strumenti comunicativi in grado di raggiungere una grande fetta della comunità politica passiva, i social media. La somma di questi mezzi conferisce al nostro regista grandi potenzialità, nel bene e nel male.

Le conferenze del PdCM si svolgono in ambienti suggestivi, che variano insieme alle stagioni, alle luci e alle inquadrature, il tutto rigorosamente sempre oltre l’orario stabilito, non sia mai che non si raggiunga il picco degli ascolti. Consci della portata che questi discorsi hanno, in quanto con quelle parole si tratta di intervenire nelle vite di ogni cittadino, alle norme giustificate dalla crisi sanitaria si aggiungono quelle che solo poi sono diventate “raccomandazioni”; Giuseppe Conte da avvocato del popolo personifica la figura giuridica (e non) del “buon padre di famiglia”. Un modus operandi strettamente correlato a ciò che avviene dal punto di vista “normativo”, ovvero il verificarsi della stessa centralizzazione, ben espressa dai “Dpcm”. Questi insieme ai decreti legge, con la rapidità legislativa richiesta dall’emergenza, hanno preso il largo confermando una tendenza che dura almeno da quel 1992 di cui si è accennato prima. Tendenza che rischia di portarci a un punto di non ritorno che nei fatti delegittimi e releghi il ruolo del Parlamento a mero contenitore di pseudo maggioranze pronte a delegare le proprie funzioni all’esecutivo, che a sua volta si fa affiancare (o qualcosa di più) dai più svariati “gruppi d’esperti”.

C’è una pratica costituzionale disciplinata dai regolamenti delle Camere che rende palese la schizofrenia istituzionale descritta qui sopra, ed è quella della “questione di fiducia”, per cui parte del governo chiede di ricorrere al “voto di fiducia” per l’approvazione di articoli o emendamenti di progetti di legge. Pratica il cui utilizzo negli ultimi anni, in particolare dal governo Berlusconi IV in poi, è stata abusata in modo crescente dal succedersi degli esecutivi. In questo caso si può dire che dov’è il problema si trova la soluzione: la fiducia.

Infatti, consultando il rapporto 2020 sulla “fiducia verso le istituzioni”, notiamo che a parte rare eccezioni come gli enti regionali e le forze dell’ordine, gli ultimi anni sono caratterizzati da un trend negativo (rapporto “demos”): spiccano lo Stato e l’Unione Europea. La stessa fiducia che manca nei partiti, dal 1976 fino al 2018 (elezioni politiche, dati Istat) si assiste a un andamento crescente del fenomeno dell’astensionismo. Si percepisce inoltre una cattiva abitudine, riscontrabile sulle principali testate giornalistiche e nei programmi politici televisivi, a dare la colpa a chi è sfiduciato anziché a chi quel legame di fiducia, cruciale nei rapporti interpersonali così come in quelli interistituzionali, dovrebbe curare e coltivare. Laddove le prerogative e quindi le responsabilità diventano opache, l’immobilismo politico ha vita facile, e il sentimento di sfiducia è dietro l’angolo.

In un anno di ricostruzione come dovrà essere quello appena iniziato, è un’altra Istituzione a trovare le parole d’augurio più puntuali e lungimiranti. Il quotidiano spagnolo “El País” l’ha definito «un Presidente esemplare, solo nella tempesta». «La fiducia di cui abbiamo bisogno si costruisce così, tenendo connesse le responsabilità delle istituzioni con i sentimenti delle persone». Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, discorso di fine anno 2020.

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