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A cura di Stefano Bonelli e Carlo Marziali.
Una guerra lampo. Così si potrebbe definire la querelle nata tra la UEFA e i 12 club “scissionisti”, che la notte tra domenica e lunedì hanno annunciato la creazione di una SuperLega. Un progetto, quello della SuperLega, che ha immediatamente provocato la reazione e l’indignazione dell’intero mondo calcistico. Dalle istituzioni, capitanate dalla FIFA e dalla UEFA, passando per i tesserati delle società e giornalisti, fino ad arrivare ai tifosi che, con le loro proteste – secondo quanto si legge nei comunicati delle squadre che hanno poi rinunciato a parteciparvi – sono risultati essere il motivo principale del fallimento della nascita di questa competizione. In questo articolo non si andrà a ripercorrere l’intera cronologia di una vicenda diventata ormai stucchevole a causa delle dichiarazioni dei dirigenti di entrambe le frange; bensì si analizzerà la situazione a 360 gradi, prendendo in considerazione quelli che sarebbero stati i pro e i contro di una SuperLega nel panorama calcistico europeo.
Ecco perché il calcio dei tifosi è morto
Una premessa è però d’obbligo. “Il calcio è dei tifosi” è stato uno slogan innalzato come fosse una bandiera da coloro che erano contrari alla SuperLega, rivendicando di fatto un calcio ormai morto da più di vent’anni. Fa quantomeno sorridere che questo motto sia stato ripreso in primo luogo dalla FIFA e dalla UEFA, ovvero le due principali artefici della morte del calcio vecchio stampo, tanto caro a tutti noi. Un calcio dei tifosi sepolto dal rincaro dei prezzi dei biglietti imposto da alcuni presidenti; dai diritti televisivi che hanno obbligato i supporter ad avere tre abbonamenti per poter seguire in ogni competizione la propria squadra; dall’imposizione di calendari serrati con partite in giorni e orari improponibili; da federazioni che decidono di giocare finali di coppe nazionali in Paesi stranieri per guadagnare qualche milione in più; da presidenti influenti nelle istituzioni che si permettono di falsare campionati e coppe senza la minima vergogna e il minimo rispetto nei confronti del pubblico.
Da lunedì, invece, queste istituzioni, nazionali e internazionali, hanno avuto la faccia tosta di parlare di meritocrazia e meriti sportivi, quando, come dimostrato, negli ultimi anni hanno operato in maniera diametralmente opposta rispetto a quest’ideale.
I lati positivi di una nuova SuperLega
Ma entriamo ora nel vivo della questione, analizzando quali siano i vantaggi che la SuperLega avrebbe portato all’interno del panorama calcistico europeo.

Una Champions d’élite avrebbe regalato partite spettacolari ogni settimana che avrebbero permesso un riavvicinamento dei giovani al mondo del calcio, ormai sempre più in secondo piano rispetto allo spettacolo offerto da leghe di altri sport, come l’NBA o la NFL. Ciascuna società avrebbe ricevuto circa 500 milioni di euro all’anno per la sola partecipazione alla competizione. Soldi che avrebbero aiutato i club a risanare i propri bilanci in poco tempo e conseguentemente annullato l’attuale supremazia economica di 4/5 squadre in ogni campionato nazionale.
A supporto di questo programma ci sarebbe stata la JP Morgan Chase, una banca statunitense tra le più potenti al mondo, che sarebbe stata disponibile a stanziare un versamento “una tantum” di 3,5 miliardi di euro.
Si sarebbe abolito il fair play finanziario introdotto nel 2011 dalla UEFA con l’intento di creare equità, ma che ha fallito miserabilmente nel suo obiettivo, con la forbice tra club ricchi e club poveri che negli ultimi anni si è allargata sempre più. Da sottolineare come le società italiane (Inter, Milan e Roma su tutte) siano state tra le principali “vittime” di questa regola insensata che ha creato figli e figliastri.
Ai top club europei, seguiti in tutto il mondo, sarebbe stato garantito un posto nel torneo con maggiori ricavi grazie ai diritti TV e ai risultati. Gli stessi club avrebbero inoltre avuto la certezza di giocare almeno 18 partite (di cui 9 in casa) invece delle 6 dell’attuale Champions League. Il merito sportivo sarebbe stato “rispettato” anziché abolito, grazie ai cinque posti liberi da assegnare annualmente in base ai risultati delle squadre aspiranti alla partecipazione.
I lati negativi di un progetto indipendentista
Ricapitolando: la SuperLega è un nuovo torneo proposto in sostituzione dell’attuale Champions League, che non abolirebbe la competizione UEFA ma che inevitabilmente la priverebbe delle sue squadre più prestigiose. Il format, poi, ci induce ad una profonda riflessione.
Venti dovevano essere le squadre partecipanti, quindici delle quali sarebbero state “fisse” e cinque assegnate in base a un “fasullo” merito sportivo. Le formazioni sarebbero state divise in due gironi da dieci squadre l’uno, per garantire le già citate diciotto partite annuali (nove gare d’andata e nove di ritorno). Indubbiamente, quindi, già a una prima occhiata, queste caratteristiche fanno emergere falle evidenti.
Il privilegio di esser ricchi
In primo luogo: perché le quindici predilette non avrebbero potuto retrocedere? Solo perché hanno più tifosi e un patrimonio più importante? E poi, dato che i posti “liberi” sarebbero stati soltanto cinque, com’è possibile che la meritocrazia fosse rispettata? Questo sarebbe infatti un merito parziale e molto limitato, con formazioni magari degne di parteciparvi ma escluse per non voler declassare le rose fondatrici.
Le potenzialità, come detto in precedenza, ci sono e sono relative a un’ingente entrata economica. Il calcio, però, nel suo senso più puro ed elevato, è uno sport e solo in un secondo tempo si è tramutato in un business. Non è quindi possibile che il lato più romantico del gioco più bello del mondo venga ucciso. Quei sentimenti e quelle emozioni che il calcio ci fa vivere hanno un valore inestimabile, più dei fantomatici miliardi promessi dalle banche.
I tifosi accendono la TV per seguire la propria squadra del cuore, sognando che il Torino possa tornare grande o che l’Atalanta possa un giorno sconfiggere le più importanti rose europee. Cosa diremmo a tutte le formazioni escluse? A quali validi motivi potremmo appellarci per distruggere la cosa più importante tra le meno importanti?
La speranza non è soltanto una nozione ideale
L’ultima riflessione che ci sentiamo di compiere è quella relativa a un concetto astratto ma, mai come oggi, attuale: quello della speranza. In un calcio gonfiato dai milioni e dalle imprese miliardarie, la possibilità che un piccolo club sollevi una Champions League, anche in un futuro lontano, è assai remota. Quell’1% di probabilità, però, tiene viva la fede del tifoso che adora il proprio club.
Che senso avrebbero la Serie B o la Championship? Che senso avrebbe la Ligue-2? Mi spiego meglio: con quale obiettivo giocano queste compagini? La finalità è quella di ottenere una promozione in massima serie e di provare una scalata ai vertici delle classifiche. Se questo vi sembra impossibile noi vi rispondiamo: l’Atalanta nel 2014-15 è arrivata 17esima; nel 2015-16 invece 13esima. Se cinque o sei anni fa aveste detto a un tifoso orobico che nel giro di un lustro la sua squadra avrebbe combattuto con il Real Madrid per un posto ai quarti di finale di Champions League, questo vi avrebbe creduto? Non credo proprio.
Il calcio ha bisogno di risanare i debiti che la pandemia ha fatto schizzare alle stelle. Non è giusto però che quest’operazione si faccia sulle spalle di chi segue il nostro sport solo e unicamente per passione, pur sapendo che il suo club difficilmente potrà sollevare anche solo un trofeo.
La vera essenza del calcio
Il talento dei calciatori c’è sempre stato, anche quando non giravano miliardi di euro. I giocatori sono diventati tali perché amavano questo sport anche quando non percepivano uno stipendio. E’ sbagliato dire che il football potrebbe perdere il livello raggiunto, perché le abilità rimarranno per sempre.

Il calcio è amore puro, totalizzante, che ti prende fino nel profondo e che talvolta è capace di sconvolgerti l’esistenza. I soldi sono solo una conseguenza del talento, non ne sono la ragione. Meditiamo e capiamo che il calcio non potrà mai morire, anche se questi grandi club dovessero fallire e chiudere i loro battenti. Il bambino che nasce con la sciarpa legata alla culla e che cresce con un pallone tra i piedi non potrà mai perdere la passione che lo spinge a giocare. Ricordiamoci sempre che i soldi non possono comprare i sentimenti.
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