Il Montenegro e la trappola cinese

Una popolazione di 630.000 abitanti, una superficie di 13.812 km² (circa 21 volte meno rispetto all’Italia), un PIL pro capite paragonabile a quello del Botswana: pochi dati utili per descrivere il Montenegro, uno degli Stati più piccoli ed economicamente meno rilevanti del continente europeo.

Nonostante la sua esigua importanza, lo Stato montenegrino è stato preso in considerazione, nel 2014, dalla Belt and Road Initiative (BRI), la nota grand strategy del Partito Comunista Cinese (PCC) il cui obiettivo è quello di aumentare l’influenza cinese nel mondo sia da una prospettiva politica sia, e soprattutto, in ottica economica. Uno dei principali intenti della BRI è quello di diminuire la distanza tra Europa e Asia tramite la costruzione di nuove infrastrutture che consentano ai prodotti cinesi di raggiungere più agevolmente il Vecchio Continente. Per permettere tutto ciò, Pechino ha sviluppato sei “corridoi” che attraversano svariati Paesi come Russia, Mongolia, Pakistan e India per raggiungere i maggiori Paesi dell’Europa occidentale. Il Montenegro non fa parte di nessuno di questi corridoi.

Per quale motivo, quindi, ci troviamo a discutere del governo di Podgorica legato alla Belt and Road Initiative? Le ragioni si possono trovare qualche anno addietro: nel 2006, nei mesi prima del referendum che rese il Montenegro indipendente dalla Serbia, nel dibattito politico spuntò l’idea di una autostrada che connettesse il porto di Bar al confine con la Serbia, ovvero le due estremità del Paese. Per uno Stato così poco sviluppato dal punto di vista infrastrutturale si trattava di una operazione molto ambiziosa e, forse, più realisticamente, irrealizzabile economicamente. Tra il 2006 e il 2014 ci furono numerosi tentativi nel procedere con la costruzione della autostrada e ciascuno di essi si rivelò fallimentare. Quest’opera divenne non più una esigenza strutturale ma una battaglia ideologica; rappresentava l’idea di sovranità e unione nazionale montenegrina.

Fu proprio nel 2014 che la Cina venne in “soccorso” del piccolo Paese balcanico: venne garantito, all’interno del progetto della Nuova Via della Seta, un prestito di 1,59 miliardi di dollari, con un tasso d’interesse del 2% (una cifra del tutto insostenibile agli occhi di tutti, basti pensare che oggi il debito pubblico montenegrino ammonta a 3,66 miliardi di euro). Una delle condizioni fondamentali, come da prassi per i progetti della BRI, fu quella della obbligatorietà nel far gestire i lavori da aziende aventi sede nella Repubblica Popolare Cinese.

Per quale motivo quindi possiamo discutere di una trappola cinese ai danni del Montenegro? Innanzitutto, dal punto di vista economico, il prestito si è rivelato un vero suicidio: non solo la somma di denaro prestata con il relativo tasso d’interesse era totalmente insostenibile per le casse montenegrine, ma anche il fatto che i lavori dovessero essere gestiti da compagnie cinesi ha fatto sì che il capitale prestato tornasse in parte alla Cina, rivelandosi doppiamente uno svantaggio per il governo di Podgorica e doppiamente un vantaggio per quello di Pechino. Il problema principale, però, non è la possibile incapacità del Montenegro di ripagare i propri debiti, per non parlare del fatto che i lavori si trovano tutt’oggi in alto mare. Il principale problema, che oserei dire non riguarda solo Podgorica, è che nel momento in cui il Montenegro ha accettato il prestito, ha accettato anche delle importanti condizioni. E una di quelle che risalta maggiormente è la possibile rinuncia alla sovranità su parte del territorio nazionale in caso di impossibilità di ripagare il prestito, con la eventuale procedura d’arbitrato gestita in Cina. Detto in parole povere, la Cina potrebbe aver fatto un grandissimo “gol”, assicurandosi di fatto la sovranità su un territorio all’interno dell’Europa. E non parliamo di Europa come concetto puramente geografico ma sia di Europa come concetto militare, essendo il Montenegro Paese membro della NATO, sia come concetto politico, visto che il Montenegro ha tra i suoi principali partner l’Unione Europea ed è, o forse era, uno dei candidati con le maggiori possibilità di diventare paese membro della UE.

Ed è proprio all’Unione Europea che il Montenegro si è rivolto per chiedere soccorso mentre affoga tra i debiti; tuttavia, pare che nessuna mano verrà tesa per salvare Podgorica.

Quali sono dunque le conclusioni che si possono trarre da questa vicenda? In primis, sembra evidente che la Belt and Road Initiative si stia rivelando una grand strategy decisamente efficiente, perché una eventuale “conquista territoriale” cinese in territorio europeo potrebbe rivelarsi un cambiamento epocale negli equilibri geopolitici eurasiatici e mondiali. Altro fatto lampante è che l’Unione Europea è meno intenzionata ad aiutare i propri alleati balcanici e dell’Est Europa, cosa che potrebbe essere vista come un ridimensionamento geopolitico dell’Unione stessa. Infine, sarebbe il caso che i Paesi, in particolare quelli meno sviluppati, fossero più accorti nel dialogare col Partito Comunista Cinese e in particolare nel contesto della BRI, perché gli investimenti strutturali proposti come vantaggiosi potrebbero trasformarsi rapidamente in trappole mortali.

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